Seconda guerra d'indipendenza italiana 1859
La seconda guerra di indipendenza italiana o campagna d’Italia del 1859 secondo la terminologia francese (campagne d'Italie de 1859) è un episodio del Risorgimento. Fu combattuta dalla Francia e dal Regno di Sardegna contro l'Austria dal 27 aprile 1859 al 12 luglio 1859.
Ebbe come prologo gli accordi di Plombières (21 luglio 1858) e l’alleanza sardo-francese (gennaio 1859) con i quali il Regno di Sardegna e la Francia prepararono la guerra all’Austria.
Si aprì nell’aprile 1859 con l'attacco dell'Austria al Regno di Sardegna che non aveva accettato di smobilitare l’esercito. Proseguì con una serie di vittorie militari dei sardo-francesi, fra le quali la battaglia di Magenta e quella di Solferino e San Martino.
Si concluse con l’armistizio di Villafranca (11-12 luglio 1859) e la sconfitta dell’Austria che fu costretta a cedere alla Francia la Lombardia, girata poi al Regno di Sardegna.
La guerra ebbe come effetto il declino del sistema di ingerenze politiche dell’Austria in Italia stabilito dal congresso di Vienna.
Come conseguenze portò all’annessione da parte del Regno di Sardegna, oltre che della Lombardia, anche dei territori (Toscana, Parma, Modena e Romagna pontificia) le cui autorità lasciarono il potere a governi provvisori filopiemontesi.
Determinò inoltre la fase più incisiva del Risorgimento (Impresa dei Mille), al termine della quale si ebbe la formazione del Regno d’Italia (1861).
Dalla prima alla seconda guerra di indipendenza :
Nel 1849 il Regno di Sardegna subì dall'Austria una dura sconfitta nella prima guerra di indipendenza italiana. Il re piemontese Carlo Alberto di Savoia abdicò allora in favore del figlio che divenne monarca del Regno di Sardegna con il nome di Vittorio Emanuele II. Quest’ultimo, per rimediare alla precaria situazione economica dello Stato, nel 1852 diede l’incarico di formare un nuovo esecutivo al conte Camillo Benso di Cavour che aveva ricoperto con successo ruoli governativi nei ministeri economici.
Cavour, di formazione europea, liberale e antiaustriaco, colse l’occasione della guerra scoppiata in Crimea fra Gran Bretagna, Francia e Impero ottomano da un lato e Russia dall'altro, per appoggiare militarmente lo schieramento alleato (1855). Dopo la vittoria della coalizione egli presentò al tavolo del congresso di Parigi (1856) il Regno di Sardegna quale punto di riferimento del movimento liberale in Italia.
L’intervento nella Guerra di Crimea avvicinò il Regno di Sardegna soprattutto alla Francia che era governata da Napoleone III, un uomo che aspirava ad aumentare la sua influenza in Italia. Accomunati dal desiderio di vedere l’Austria fuori dai confini italiani, Cavour e Napoleone III si incontrarono segretamente il 21 luglio 1858 a Plombières dove posero le basi per la successiva alleanza sardo-francese che fu conclusa nel gennaio 1859. Questo accordo prevedeva a breve una guerra comune contro l'Austria e stabiliva, in caso di vittoria, il passaggio del Lombardo-Veneto a Vittorio Emanuele II, che in cambio avrebbe ceduto Nizza e Savoia[3] a Napoleone III. Era però un accordo difensivo e sarebbe scattato solo in caso di aggressione dell’Austria al Regno di Sardegna.
A Vienna l’incontro di Plombières (di cui era trapelato qualcosa) assunse un significato minaccioso, così come le enigmatiche parole pronunciate il 1º gennaio 1859 da Napoleone III all'ambasciatore austriaco[4]: «A me duole che le nostre relazioni non siano più così buone come io desideri che fossero […]»[5]. Ad aprire la crisi fu però il discorso di Vittorio Emanuele II al parlamento piemontese nove giorni dopo: «Noi non possiamo restare insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi!». Con esplicito riferimento al Lombardo-Veneto, nel quale andava crescendo l’agitazione dell’opinione pubblica patriottica. Prudentemente, ai primi di gennaio, il governo austriaco rafforzò la 2ª Armata nel nord Italia con l’invio del 3º Corpo .
La crisi internazionale del 1859 :
A preoccupare l’Austria, e in maniera minore la Gran Bretagna, era anche un certo accostamento della Francia alla Russia. Tale avvicinamento portò Londra a prendere le difese di Vienna soprattutto dopo il discorso di Vittorio Emanuele II che, grazie al coordinamento della Società Nazionale, aveva provocato un afflusso di volontari verso il Piemonte da ogni regione d’Italia. Fatto sta che mentre il governo austriaco rafforzava la 2ª Armata anche con il 2º Corpo, il governo piemontese, il 9 marzo 1859, annunciava il richiamo dal congedo dei contingenti di cinque classi. Inoltre, quattro giorni prima, l’organo ufficiale del governo francese, il giornale Le Moniteur, aveva rivelato l’esistenza dell’alleanza sardo-francese, chiarendo che Napoleone III si era impegnato a proteggere il Regno di Sardegna da un eventuale attacco dell’Austria[9].
Tutto sembrava procedere verso la guerra quando, il 18 marzo 1859, la Russia avanzò la proposta di una conferenza con Francia, Austria, Gran Bretagna e Prussia per dirimere la questione italiana. La Francia si dimostrò d'accordo e Cavour partì per Parigi, dove giunse il 26, nel tentativo di convincere Napoleone III a rifiutare il congresso che avrebbe visto sfumare la prospettiva del Regno di Sardegna di espandersi a tutto il Lombardo-Veneto, così come previsto dal trattato di alleanza. Cavour invece trovò l’imperatore francese sotto l’influenza del ministro degli Esteri Alexandre Walewski fermamente contrario alla guerra[10].
Nei giorni seguenti le trattative fra le diplomazie proseguirono con il Piemonte fermo a non disarmare poiché gli era impedito di partecipare al congresso e l’Austria disposta a parteciparvi, ma alla condizione che il Piemonte non vi partecipasse e avesse disarmato. Intanto andava prendendo piede l’ipotesi di un disarmo preventivo generale di Francia e Austria al quale avrebbe dovuto aderire anche il Piemonte. Alla fine il ministro degli Esteri britannico Malmesbury fece la proposta per una commissione di sei membri, di cui uno piemontese e uno per ciascuna delle grandi potenze, che regolasse il disarmo generale. Secondo la proposta, inoltre, la conferenza si sarebbe riunita subito, ammettendo in un secondo tempo i rappresentanti degli Stati italiani, fra cui quello del Regno di Sardegna[11].
Ottenendo la partecipazione al congresso, a Cavour parve difficile rifiutare di partecipare alla smobilitazione generale. Il 19 aprile 1859 due diplomatici francesi gli consegnarono l’intimazione del governo francese ad aderire al disarmo generale con ammissione al congresso per discuterne l’esecuzione. Con tutti gli altri membri del governo piemontese disponibili al congresso, al quale aveva dato parere favorevole anche l’ex presidente del Consiglio Massimo d'Azeglio (a Londra per le trattative) e il re Vittorio Emanuele II, Cavour cedette e acconsentì al disarmo preliminare .
L’ultimatum dell’Austria :
Informato da Malmesbury dell’apertura piemontese, il ministro degli Esteri austriaco Karl Buol dichiarò che non avrebbe ammesso alcuna forma di partecipazione del Regno di Sardegna al congresso e fece sapere che la sera del 19 aprile aveva inviato a Cavour l’intimazione di disarmare entro tre giorni dal ricevimento della sua lettera. Era l’ultimatum in cui Cavour non sperava più[14].
A spingere l’Austria sulla via della guerra contribuì la persuasione che la questione italiana poteva essere risolta solo dal ritiro politico di Cavour e ciò si sarebbe potuto ottenere con una sconfitta piemontese. Inoltre la corte di Vienna considerò impensabile che in caso di una guerra contro la Francia la Prussia (membro della Confederazione germanica come l’Austria) non fosse intervenuta al suo fianco. Fra gli altri fattori v’era poi l’imperatore Francesco Giuseppe il cui senso dell’onore gli impedì di tollerare oltre le provocazioni di Napoleone III e dei suoi complici, fra i quali egli annoverava non solo Cavour ma anche Garibaldi. Infine, la difficile situazione finanziaria della monarchia che non consentiva di sostenere a lungo un così elevato livello di mobilitazione dell’esercito[15].
Avvisato da Walewski dell’imminente arrivo dell’ultimatum austriaco, Cavour chiese per il 23 aprile la convocazione della Camera per l’approvazione di un disegno di legge che concedesse, in caso di guerra, i pieni poteri al re. La legge fu approvata con 110 voti favorevoli, 24 contrari e 2 astenuti in un’atmosfera di entusiasmo. Lo stesso 23 aprile 1859, alle 17,30, due diplomatici austriaci consegnarono a Cavour l’ultimatum[16].
D’intesa con il governo francese, il presidente del Consiglio piemontese diede la sua risposta solo allo scadere del termine, di modo da guadagnare tempo a vantaggio delle truppe francesi che già affluivano in Savoia. Quando fu consegnata, alle 17,30 del 26 aprile, essa rinviava all’assenso del Piemonte alla proposta inglese di cui sopra, accettata dalle altre potenze e rifiutata solo dall'Austria, facendo ricadere su quest’ultima la responsabilità delle conseguenze[17]. Nelle stesse ore a Vienna l’ambasciatore francese François-Adolphe de Bourqueney dichiarava che il suo governo avrebbe considerato causa di guerra il passaggio del Ticino (il fiume che segnava il confine tra il Regno di Sardegna e il Lombardo-Veneto) da parte dell’esercito austriaco[18].
Il giorno dopo, la conferenza ministeriale austriaca giudicò la risposta di Cavour insoddisfacente e dispose l’invio al comandante della 2ª Armata nel Lombardo-Veneto, maresciallo Ferencz Gyulai, l’ordine di iniziare immediatamente le operazioni contro il Regno di Sardegna e i frances.
Le forze in campo :
Durante il periodo trascorso fra la prima e la seconda guerra di indipendenza l’esercito piemontese subì un processo di ammodernamento che ne fece, da armata di quantità, una di qualità: la fanteria di linea risultò meno numerosa come la cavalleria, ma la prima si arricchì di bersaglieri e cacciatori e la seconda risultò più leggera e mobile. Venne rafforzata l’artiglieria e le truppe del genio. Al posto degli 80.000 uomini a pieno regime del vecchio esercito, l’armata sabauda ora ne schierava circa 65.000, compresi i volontari[21][22].
Questi ultimi erano affluiti copiosi da tutta Italia dopo il discorso di Vittorio Emanuele II del 10 gennaio 1859, raggiungendo, il 25 marzo, la cifra di oltre 19.000 unità. Così come previsto dall’alleanza, per volere di Napoleone III, della diplomazia europea e della stessa classe dirigente piemontese questi volontari furono inquadrati nell’esercito piemontese. Si evitò così di cominciare una guerra che avesse una parvenza di insurrezione rivoluzionaria[23][24].
Pertanto, con un decreto del 25 aprile 1859, Giuseppe Garibaldi venne nominato generale, e lui e i suoi Cacciatori delle Alpi confluirono nell’esercito piemontese. Nonostante i volontari, però, il ministro della Guerra Alfonso La Marmora non riuscì a mettere insieme i 100.000 italiani in armi previsti dal trattato di alleanza sardo-francese. Egli poté raccogliere solo una forza di 65.000 uomini, di 5.000 cavalli e 142 cannoni divisi in cinque divisioni di fanteria e una di cavalleria[25].
Oltre ai Cacciatori delle Alpi (che costituivano una forza pari ad una brigata), l’esercito piemontese alla vigilia della guerra vedeva questi comandanti e queste unità schierate: comandante in capo Vittorio Emanuele II (ma alla confluenza con il corpo di spedizione francese il comando sarebbe passato a Napoleone III così come previsto dal trattato di alleanza); capo di stato maggiore Enrico Morozzo Della Rocca, ministro della Guerra al campo Alfonso La Marmora.
1ª Divisione, generale Angelo Bongiovanni di Castelborgo (1802-1862);
2ª Divisione, generale Manfredo Fanti;
3ª Divisione, generale Giovanni Durando;
4ª Divisione, generale Enrico Cialdini;
5ª Divisione, generale Domenico Cucchiari;
Divisione di Cavalleria, generale Callisto Bertone di Sambuy.
I piemontesi soli (27 aprile-10 maggio 1859) :
L’ultimatum dell’Austria consegnato a Cavour il pomeriggio del 23 aprile 1859 portò ad una brusca interruzione delle trattative che sfociò nella guerra. Tuttavia l’esercito austriaco non si mosse. Il 27 aprile, all’aprirsi delle ostilità, la 2ª Armata si trovava concentrata con i suoi 5 corpi sul basso Ticino, fra Bereguardo e Pavia, e a fronteggiarla non si trovavano che 6 divisioni piemontesi, con il grosso delle truppe fra Alessandria e Valenza, sulla sponda destra del Po[34][35].
Sebbene in posizione così favorevole, la maggior parte degli austriaci non entrò in Piemonte che il 30 aprile. Il maresciallo Gyulai pensava infatti che il miglior modo per condurre la guerra sarebbe stato quello di attendere gli altri corpi d’armata previsti (2 in arrivo più altri 2) e solo allora prendere l’offensiva. Solo la mattina del 7 maggio la marcia su Torino ebbe inizio, essa fu condotta dal 7º Corpo d’armata, che avanzò verso ovest oltre la Sesia dopo aver occupato Vercelli. L’esercito piemontese rimase invece sulle sue posizioni a sud-est dell’avanguardia austriaca, mentre il 3º e il 4º corpo francesi erano in movimento verso Alessandria per unirsi alle forze sabaude[36].
Le truppe di Napoleone III arrivavano in Piemonte o attraversando il passo del Moncenisio a piedi fino a Susa dove la ferrovia le trasportava a Torino e da lì ad Alessandria, oppure arrivavano via mare imbarcandosi soprattutto a Marsiglia e sbarcando a Genova[37].
A causa del continuo afflusso di queste forze, il 9 maggio la 2ª Armata austriaca interruppe l’avanzata e si raggruppò attorno a Mortara (fra la Sesia e il Ticino, a circa 27 km a sud-est di Vercelli). Lo stesso giorno ad Alessandria il 3º e 4º corpo francesi erano quasi al completo, mentre il 1º e il 2º corpo si attestavano ancora più a sud, sullo Scrivia, presso Serravalle e Novi Ligure. Senza contare questi ultimi due corpi, le 10 divisioni austriache fronteggiavano ora 6 divisioni piemontesi e quasi 7 francesi: il 10 maggio le truppe di Gyulai erano ovunque in ritirata verso est.
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