le regioni europee anche loro hanno vissuto la rivoluzione industriale come e successo in inguilterra , sopratutto quelli nord occidentali , sono stati tante cose che arrichito industria che fa estrarre il carbone per esempio l incremento dell agricoltura e dei commerci la tecnologia e espansione demografica .
jeudi 17 septembre 2015
Anno 1850
Nel anno 1850 ci sono tanti evvinemanti ad esempio al 13 agosto emenda nuove disposizione sulla stampa che di fatto ne limitano pesantemente la liberta , e a Londra e stato arrivato 2.300.000 di nuovi abitanti e anche a parigi 1.000.000 abitanti , e nel regno di Sardegna hanno eliminato i privilegi del clero ...
mercredi 16 septembre 2015
Esposizione dell’Orologio da Torre di Stefano Boldini del 1850
A Passirano (BS), in occasione delle festività patronali, verrà esposto dal 12 al 20 ottobre l’orologio antico della torre campanaria della Parrocchia di San Zenone in Passirano (BS).
La documentazione d’archivio, ora in fase di digitalizzazione, ci illustra tutti i passaggi, dal contratto ai pagamenti avvenuti tra la Fabbriceria di Passirano e l’orologiaio Stefano Boldini.
Stefano Boldini è uno dei nomi più significativi tra gli artigiani della Val Saviore, dove nacque nel 1774. Abilissimo costruttore di meccanismi d'orologi da torre, iniziò la propria attività nel paese natio con piccoli orologi in legno, capolavori di precisione. “Era un contadino semianalfabeta, ma evidentemente dotato di una grande intelligenza. Da giovanissimo, nel Pan di Paghera, un prato di proprietà, costruì un orologio in legno che funzionava grazie a una ruota a palette sulla quale cadeva l’acqua di un ruscello. Si trattava di un vero e proprio orologio idraulico: un esempio di ingegno. Boldini che dal primo matrimonio con Achillea Sisti ebbe cinque figli, tre femmine e due maschi, spinto dalla carestia che colpì Saviore agli inizi del XIX secolo, nel 1811 si trasferì a Rovato in cerca di lavoro”, dove strinse amicizia con il canonico Carlo Angelini, intraprendente sacerdote con la passione della meccanica, ed insieme fondarono un laboratorio per la produzione di orologi da torre. Cinque anni dopo costruì l’orologio per l’ospedale cittadino e poco tempo dopo il grande orologio della torre parrocchiale. In quarant’anni di attività costruì mediamente un orologio all’anno per le chiese della zona e della Vallecamonica.
Nel 1833 ad essi si unì, come garzone di bottega, abile ed intelligente, un certo Carlo Frassoni, originario di San Pellegrino in Val Brembana: le capacità del giovane, la sua caparbietà e il suo talento fecero sì che Boldini ravvisasse in lui l’erede naturale, concedendogli, com’era tradizione, la mano della propria figlia, e concedendo in dote la fabbrica e la relativa clientela. Autore degli orologi di ben quaranta campanili bresciani, tra cui Saviore, Valle, Leno, Rovato, si occupò anche della costruzione di vari congegni meccanici dedicandosi allo studio del moto perpetuo. Morì a Rovato nel 1854, dove è sepolto. Una delle vie del paese di Saviore è dedicata a questo valido concittadino. Alla morte del Boldini, l’azienda prese il nome dell’allievo e genero Carlo Frassoni che divenne la più importante fabbrica di orologi da torre d’Italia.
L’orologio della Torre Campanaria di Passirano, oltre alla firma e alla data “Boldini 1850” impressa sul telaio, è ricco di una documentazione rara ed inedita che si trova nell’Archivio Parrocchiale.
È formato da una gabbia in ferro battuto con quattro montanti principali poggianti su zampe di “cane” e sei montanti ausiliari disposti sui due lati lunghi del telaio. Le parti sono fissate tramite dadi esagonali e quadrati con viti.
Il movimento è costituito da due treni affiancati:
• Carica a pesi e funi metalliche su due tamburi in legno; ruote dentate in acciaio e pignoni a gabbia; regolatore a pendolo esterno al telaio con sospensione a lama e accoppiamento con galletto e asta filettata di regolazione; scappamento del tipo a caviglie con una fila di pironi in ottone; ruota di scappamento in acciaio.
• Suoneria in dodici a ore e mezze su due campane azionata da chiocciola e rastrello. Grande ventola a pale esterna al telaio. Quadrantino di controllo e di regolazione con indicazione delle ore e dei minuti (purtroppo mancante).
Il meccanismo è costituito da due parti principali:
• La parte a sinistra del fronte, è il cosiddetto “Treno del tempo” che permette il movimento relativo alla fascia oraria suddivisa in dodici ore e sessanta minuti ed è trasmessa ai due quadranti esterni per mezzo di una coppia di ingranaggi conici e relativi assi con giunti cardanici.
• La parte a destra è il “Treno della soneria” che permette (attraverso una serie di tiranti) di raggiungere la cella campanaria e per mezzo di due pesanti “martelli” o batacchi, di far sentire all’esterno i tocchi delle ore e delle mezze. Tale movimento è effettuato tramite due barre in acciaio con numerosi fori di regolazione da cui partono i tiranti. La barra a sinistra, esterna al telaio è quella relativa alle mezze ore ed è azionata da un eccentrico posto sull’asse dei minuti. La barra a destra è quella delle ore e si trova all’interno del telaio ed è azionata dai numerosi pioli disposti lungo la circonferenza della ruota dentata del solidale al tamburo del peso.
A questo proposito, per meglio evidenziare il funzionamento della suoneria, sono stati aggiunti, provvisoriamente e non rispettando lo stile di lavorazione dell’epoca, due martelletti e due piccole campane.
L’orologio della Torre Campanaria di Passirano era originariamente collocato in asse ai quadranti ancora visibili sul lato est e ovest del campanile. Con l’avvento della tecnologia moderna, è stato sostituito dall’orologio elettronico. Durante un intervento di restauro dei pianerottoli stessi, è stato portato ad un piano inferiore e da qui, grazie all’interessamento del parroco don Luigi Guerini è partita la fase di recupero.
Il 24 luglio di quest’anno (2013) sotto la guida di Luigi Faustini, esperto conoscitore della meccanica degli orologi, è stato smontato in tutte le sue parti, numerandole e fotografando ogni particolare. È poi stato portato a terra e da qui è cominciata il restauro.
Alla fine di agosto si è provveduto al lavaggio completo delle parti usufruendo dell’ausilio di una pulivapor con sgrassatori biologici per togliere le incrostazioni create da grasso e polveri.
È poi cominciata l’asportazione delle ruggini con carte abrasive e spazzole. Si è intervenuti con un prodotto antiruggine per fermare la ruggine sul telaio a cui è seguito il fissaggio con un leggero strato di vernice trasparente come protettivo. Sulle parti in acciaio si è deciso di apporre solo un piccolo strato di vernice.
È proseguita poi la fase di ricostruzione minuziosa dell’orologio.
Dal telaio si è passati all’inserimento dei due treni, quello del Tempo e quello della Suoneria con tutte le sue parti. Dopo una prima verifica del funzionamento e della calibrature degli ingranaggi, si è passati alla realizzazione dei meccanismi provvisori per la suoneria che doveva imitare quella reale delle campane, quindi sono stati applicati ai lati i martelletti e due campane.
La ditta Turra Meccanica di Turra Giuseppe ha provveduto alla realizzazione artistica del basamento.
La collocazione attuale è provvisoria nella speranza di poter usufruire degli spazi, ancora da restaurare, dell’antico Conventino da adibire a piccolo museo locale.
L’interesse della prof.ssa Marisa Addomine, nota esperta nazionale sugli Orologi da Torre, ci ha stimolato a rendere la piccola mostra, che si terrà dal 12 al 20 ottobre presso la vecchia Canonica, ricca di particolari interessanti. Oltre all’orologio, verrà esposta tutta la inedita documentazione e le sequenze fotografiche dell’intervento di recupero.
Horlogerie 1850
1850
L’orologeria non era ancora un’industria, ma un artigianato nella vera accezione del termine. La bottega in quegli anni realizzava e riparava a mano anche i singoli componenti che facevano parte di un orologio, con l’ausilio di strumenti e macchinari spesso ideati e realizzati nelle valli svizzereMEDIOS TECNOLÓGICOS EN EL DESARROLLO DE LAS AGENCIAS ( In Espagnolo )
En la década de 1850 el telégrafo estaba al alcance de muy pocos: el Estado, empresarios, bancos, agentes de bolsa y periódicos. Estas entidades conformaron una red nacional telegráfica entre sí, que adquirió una nueva dimensión de monopolio a través de tratados, acuerdos, cartel... que a su vez, aseguraban el reparto del mercado internacional de las comunicaciones telegráficas.
Gracias a esta nueva red de comunicación, el Imperio Británico y Reuters, pudieron establecer comunicaciones inmediatas con sus diplomáticos, sus colonias, sus agentes y sus clientes. El conocimiento casi inmediato de los movimientos bursátiles permitirá operaciones a escala universal. El telégrafo se convierte en un elemento básico de estructuración de la economía mundial. Durante la segunda mitad del siglo XIX fue tal el grado de desarrollo del telégrafo y tal su utilización por parte de los círculos antes citados, que una brusca paralización del mismo era capaz de provocar una importante distorsión de la marcha regular de un país.
Reuters tuvo un gran desarrollo por el hecho de que Londres fue el centro mundial en cuestión de telégrafos, por lo que todas las informaciones debían pasar por allí. Esto es debido a que Reuters era la única agencia de comunicación que existía en Gran Bretaña, por lo tanto era la que controlaba todas las informaciones, y la que se encargaba de transmitirla a diferentes agencias de comunicación.
Britannia Bridge (1850)
Robert Stephenson's design for the Britannia railway bridge revolutionised the use of iron in bridge building. His experimental approach was a milestone in structural engineering, and led to the development of box girders. His Britannia Bridge over the Menai Strait was the largest tubular bridge constructed in Britain, but today only the stone elements of Stephenson's original remain. The bridge’s modern superstructure carries road and railway traffic between mainland Wales and the Isle of Anglesey.
In 1838, railway engineer George Stephenson (1781-1848) proposed extending the London to Chester line to Holyhead. To reach Holyhead, the railway had to cross the Menai Strait in north Wales. In 1840, George's son Robert Stephenson (1803-59) surveyed possible routes and suggested the most suitable solution would be to use Britannia Rock (SH541710) as the foundation for a mid-channel pier.
As engineer for the Chester & Holyhead Railway, Robert Stephenson was confronted with the difficulty of producing a bridge that could safely sustain locomotives travelling at high speed over an unusually wide span. The area’s prevailing weather conditions were poor and the bridge had to maintain a level height, 31.6m above high water, so as not interfere with the navigation of the largest sailing ships coming in from the Irish Sea.
Several early designs were rejected and Stephenson began to reconsider a roadbridge he had made in 1841, using trough-shaped iron girders. If the trough were closed across the top, would the girder then be self-supporting, even across significant spans? Rather than acting as a platform for the roadway, the tube might then carry the railway tracks through its middle.
He discussed the idea with the ironmaster, William Fairbairn (1789-1874), who experimented with the strength of this arrangement and the best shape for the iron tube. After selecting a rectangular tube section over circular or elliptical, because it would be easier to build and performed well in tests, a one-sixteenth scale model of Britannia Bridge (23.8m long) was tested. Professor Eaton Hodgkinson (1789-1861), a mathematician and writer on the strength of materials, was called upon to verify Fairburn's findings and produce formulae to describe and replicate them. The railway company funded this preparatory work to the tune of more than £6,000.
With Fairbairn's assurance, Stephenson eventually designed a bridge consisting of twin rectangular iron tubes running through three masonry support towers, to abutments at either end, without any further bracing or suspension. He was helped in the complicated structural stress calculations by Edwin Clark (1814-94), who went on to become resident engineer for the project.
For the same railway line, Stephenson produced a similar design for a smaller bridge over the River Conwy (SH785774). The construction method for the iron tubes on both bridges was technology borrowed from shipbuilding — they were made from riveted wrought iron plates 16mm thick, with cellular roofs and bases and sheeted sides.
The Britannia Bridge tubes crossed the strait in four spans, on three masonry support towers between masonry abutments. One tower sits on each bank with the tallest, 67.5m high, founded on Britannia Rock. The towers and abutments are rectangular in section, fashioned in 'Egyptian Pylon' style from Anglesey limestone and Runcorn sandstone. Each partly hollow tower has two square holes per side near the top, in all eight on each tower. Stone lintels 6.1m long span the rectangular voids for the twin tubes.
Each of the tubes consisted of four spans connected end to end within the towers. The two central bays had clear spans of 140m each, with a 70m clear span at either side. To allow for expansion and contraction, Stephenson had the tubes fixed in the central tower but mounted them on rollerbeds in the side towers and abutments.
The side tubes were built first, in situ, on wooden platforms. Meanwhile, the two great central tube sections, weighing 1,830 tonnes apiece, were built on the Caernarfon shore and floated, one at a time, into position. They were then jacked into place using hydraulic pumps, with supports being built underneath at every few inches. The Conwy bridge tubes had been successfully manoeuvred into position by the time the first Menai tube was ready. Nonetheless, Stephenson lost many nights' sleep over his method of construction.
Isambard Kingdom Brunel(1806-59), Stephenson’s friend and professional rival, is said to have remarked, "If your bridge succeeds, then mine have all been magnificent failures". The two men stood together to watch the first huge tube float out on its pontoons on 20th June 1849. Brunel was later to use the same technique for the Royal Albert Bridge at Saltash (SX434588) in Cornwall.
Once in place, the separate lengths of tube were joined to form parallel prestressed continuous structures, each 460.6m long and weighing 5,350 tonnes. The prestressing increased the loadbearing capacity and reduced deflection. The tubes were 4.5m wide and between 7m and 9.1m in overall depth, with a clear 3m gap between them. They were supported on a series of 4.6m long cast iron beams embedded in the stonework of the towers.
To protect the iron from the weather, an arched timber roof was constructed to cover both tubes. It was about 12m wide, continuous over their whole length, and covered with tarred hessian. A 3.7m wide central walkway above the roof provided maintenance access.
The Parliamentary Bill brought to construct Britannia Bridge received royal assent on 30th June 1845. The foundation stone was laid on 10th April 1846, and the first rivet driven on 10th August 1847. The tubes were manoeuvred into place between June 1849 and February 1850. Altogether, the bridge took over three years to complete and Stephenson fitted the last rivet on 5th March 1850. A single tube opened to rail traffic on 18th March 1850. Both tubes were open by 21st October the same year.
The success of Stephenson's bridges at Conwy and Menai changed the construction of iron bridges forever, and their tubular form can be considered the forerunner of the modern box girder.
On 23rd May 1970, an accidental fire destroyed the tarred timber roof, weakening the iron tubes beneath. The tubes split open at the three piers and the spans began to sag. The long spans deflected 490mm and 710mm. Rail crossings ceased. More details about the fire can be read in the article Britannia Bridge (1974), which describes its reconstruction.
Stephenson’s wrought iron tubes have been replaced by steel arches, supporting a reinforced concrete deck. The original masonry towers, abutments and the four plump stone lions that guarded the ends of the bridge have been retained, although the lions are now obscured. They date from 1848 and were sculpted by architect John Thomas (1813-62).
Rail services resumed in January 1972 and the rebuilt bridge was completed in 1974. In 1977-80, an upper level two-lane roadway was added to the bridge, carrying the A55 across the waters.
A small section of Stephenson’s wrought iron tube is preserved as a monument (SH542708) to the original Britannia Bridge, and is located on the south bank of the Menai Strait.
Britannia Bridge was Grade II listed in March 1966, and retains this designation despite alterations to its superstructure as a result of the fire. The citation notes that here remains "significant evidence for the original engineering", and that it was "one of the most audacious and exciting monuments of the great age of engineering".
Also Grade II listed is the Britannia Bridge Memorial (SH537711) in the churchyard of St Mary at Llanfair Pwllgwyngyll, Anglesey. Erected in 1850, it commemorates those who died during the bridge’s construction — 16 men and two children
La rivoluzione industriale Nel 1850
1800-1850
Sull'esempio inglese anche alcune regioni europee, quelle nord-occidentali, vivono la rivoluzione Industriale . Incremento dell'agricoltura e dei commerci, tecnologia ed espansione demografica alla base del processo. Fioriscono l' industria estrattiva del carbone, la siderurgia , la chimica . Si diffonde un nuovo sistema economico: il capitalismo basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e dei capitali. Sviluppo del sistema bancario. Le Borse . Il supporto all'industrializzazione è fornito dalle ferrovie . Profondo mutamento sociale: nascono la borghesia capitalista , detentrice dei mezzi di produzione e il proletariato , la cui unica ricchezza è la forza-lavoro. Gli operai lavorano in condizioni tristissime nelle fabbriche. I lavoratori inglesi si riuniscono nelle Trade Unions , legalizzate nel 1824. In Francia nascono le Società di mutuo soccorso . La loro lotta in difesa degli operai è molto difficile. Solo una piccola parte della borghesia è favorevole alle loro richieste. Nel 1831 la prima legge a tutela dei bambini in Inghilterra. In Francia ne viene emanata una solo nel 1841.
La ripresa dell'agricoltura
La ripresa dell'agricoltura. La rivoluzione industriale avvenne in corrispondenza di una forte ripresa dell'agricoltura (particolarmente nei paesi più avanzati del continente). Seguendo l'esempio inglese nelle aziende agricole vennero introdotte nuove tecniche (sia di coltivazione sia di allevamento) e moderne tecnologie (macchine agricole quali: seminatrici, trebbiatrici meccaniche ecc.), tali da incrementare notevolmente i raccolti. Risultato di questi passaggi fu un deciso aumento della redditività, con conseguente accumulo di capitali che, per opera delle banche, furono messi a disposizione dell'industria. Ma questo “circolo virtuoso” si innescò solo nei paesi più progrediti ed ebbe come protagonisti esclusivamente i grandi proprietari terrieri. I piccoli proprietari e il mondo agricolo delle regioni prevalentemente rurali (Spagna, Italia centrale e meridionale, Polonia, Russia) restarono ancorati al passato mantenendo i metodi produttivi arretrati.
Invenzioni, industrie e finanza
Invenzioni, industrie e finanza. La rivoluzione industriale poggiò sulle solide basi delle scoperte scientifiche e tecnologiche effettuate nel corso del XVIII e XIX sec. Già nel 1769, James Watt perfezionò la macchina a vapore; la sua applicazione nel settore tessile, nella metallurgia e nei trasporti contribuì al progresso in maniera determinante. Tra il 1830 e il 1847 il numero delle macchine a vapore crebbe costantemente nell'Europa industrializzata: in Gran Bretagna esse passarono da 15 a 30 mila, in Francia da 3 a 5 mila. La loro diffusione causò un'intensificazione dello sfruttamento delle miniere di carbone. I paesi come l'Inghilterra, la Francia, la Germania e il Belgio, che ne erano ricchi, furono avvantaggiati. Durante la rivoluzione industriale iniziò a svilupparsi la siderurgia. Vi erano altiforni per l'acciaio e la ghisa in Inghilterra, a Birmingham e Glasgow; in Germania cominciò la sua attività la famiglia tedesca dei Krupp sfruttando il bacino della Ruhr. Ben presto gli altiforni a legna furono sostituiti con quelli a coke. Si sviluppò quindi l'industria chimica, soprattutto per produrre concimi e colori artificiali, nonché lo zucchero; nel 1843 si mise a punto il processo di vulcanizzazione del caucciù. Fondamentale il supporto fornito alle industrie da nuove ed efficaci reti di trasporto. Mettendo a frutto l'invenzione del treno, nella quale ebbero una parte decisiva gli inglesi George e Robert Stephenson, all'inizio del secolo vennero costruite le prime ferrovie, che nel 1850 si estendevano già per 38 mila chilometri: di questi 14 mila erano negli USA e 11 mila in Gran Bretagna. Iniziò a diffondersi la navigazione a vapore (nel 1807 l'americano Robert Fulton costruì il vaporetto Clermont). Per comunicare a distanza lo statunitense Samuel Morse nel 1844 perfezionò il telegrafo. Il nuovo sistema capitalistico mise le imprese di fronte alla realtà della concorrenza: occorreva produrre manufatti di qualità al prezzo minore possibile per assicurarsi la supremazia sul mercato (legge della concorrenza). L'allargamento della produzione industriale richiedeva una solida organizzazione finanziaria. Le banche seppero subito adeguarsi: esse ormai dovevano garantire alle imprese la possibilità di ottenere capitali in prestito. Accanto alle banche pubbliche, si svilupparono quelle private con alla testa vere e proprie dinastie (vi erano i Rotschild, i Parish, i Baring ecc.). Le stesse imprese, crescendo, furono costrette a darsi un assetto più solido: nacquero così le Società per Azioni, in cui più capitalisti si legavano a esse con il proprio danaro. Per provvedere alla compravendita delle azioni, al cambio di valuta e al collocamento dei prestiti pubblici furono fondate le Borse (Londra e Parigi le più importanti).
Le condizioni di lavoro
Le condizioni di lavoro. Nei paesi industrializzati i lavoratori che trovarono impiego nelle fabbriche delle città si trasferirono spesso nelle periferie urbane con le famiglie. Costretti a vivere in abitazioni malsane, e a lavorare sopportando ritmi massacranti (13-15 ore quotidiane), presto maturarono l'esigenza di vedere salvaguardati i propri interessi. Gli operai salariati iniziarono così a riunirsi in associazioni di mestiere. In Inghilterra, furono istituite le Trade Unions (Unioni di mestiere), nate nella seconda metà del XVIII sec. e riconosciute dal governo nel 1824. Nel 1834 fu istituita la Grand National Consolidated Trade Union che le comprendeva tutte. Non ottenendo successi nella legislazione del lavoro, esse si orientarono all'attività politica. Nel 1838 redassero la Carta del popolo per la democratizzazione del sistema politico inglese. In Francia tra gli artigiani e alcuni gruppi di operai si diffusero le Società di mutuo soccorso. Esse compresero che era in atto una separazione tra gli interessi borghesi e quelli del popolo. Di fronte a questi movimenti la borghesia ebbe atteggiamenti differenti. I più respingevano ogni richiesta dei lavoratori, una piccola minoranza era favorevole a un moderato interessamento. I governi, dal canto loro, affrontarono i problemi legati al mondo del lavoro proletario per evitare pericolose tensioni. In Inghilterra furono emanate leggi che limitavano a 10 ore l'orario di lavorro per donne e bambini sotto i 10 anni nel 1831. In Francia venne limitato l'impiego dei bambini solo nel 1841, ma la legge in proposito riguardava esclusivamente le fabbriche con più di 20 dipendenti.
I problemi dello sviluppo capitalistico
I problemi dello sviluppo capitalistico. L'affermarsi del capitalismo, cui sono legati lo sviluppo dell'industrializzazione, l'incremento dei commerci, i problemi di convivenza tra borghesia e proletariato, suscitò l'interesse di molti teorici. Nacque in questo periodo la dottrina del liberismo economico per cui la libertà economica (il libero commercio) non ostacolata in alcun modo dall'autorità pubblica avrebbe portato alla realizzazione di un ordine naturale della società. Capostipite di questa corrente di pensiero fu Adam Smith (1723-1790). Ripresero in seguito le sue teorie David Ricardo (1772-1823), Thomas Robert Malthus (1766-1834) e John Stuart Mill (1806-1873). I principi del liberismo furono applicati dai governi nazionali per gran parte del XIX sec. Negli stessi anni iniziava a diffondersi il pensiero socialista.
Life in Old Louisiana (1830-1850)
This sort of documentary was made in 1941 (as stated in the opening titles). This short film depicts the culture of old Louisiana, including such aspects as slavery on cotton and cane plantations, the prevailing French language, Mississippi River trade, education, religion and music.
The film focuses on the elite and (wealthy) white families, such as plantation owners and business men. Sadly enough the delicate matters e.g. about how coloured people were treated in those days, are apparently insignificant. This documentary however (even when it's not really an accurate survey of history) might still be an interesting image of the time.
Life in Old Louisiana (1830-1850)
An Instructional Sound Film
Produced by Erpe Classroom Films Inc.
In collaboration with James J.A. Fortier
Historian of City Archives
New Orleans, Louisiana
Copyright MCMXLI by Epri Classroom Films Inc.
Copyrights remain to the original holder | Any music here is only used for the purpose of education, comparison and/or criticism | No infringement of copyright is intended.
The film focuses on the elite and (wealthy) white families, such as plantation owners and business men. Sadly enough the delicate matters e.g. about how coloured people were treated in those days, are apparently insignificant. This documentary however (even when it's not really an accurate survey of history) might still be an interesting image of the time.
Life in Old Louisiana (1830-1850)
An Instructional Sound Film
Produced by Erpe Classroom Films Inc.
In collaboration with James J.A. Fortier
Historian of City Archives
New Orleans, Louisiana
Copyright MCMXLI by Epri Classroom Films Inc.
Copyrights remain to the original holder | Any music here is only used for the purpose of education, comparison and/or criticism | No infringement of copyright is intended.
La lettera scarlatta pubblicato nel 1850
La lettera scarlatta (The Scarlet Letter), pubblicato nel 1850, è un classico della letteratura statunitense scritto da Nathaniel Hawthorne. Ambientato nel New England puritano nel XVII secolo, il romanzo racconta la storia di Hester Prynne che, dopo aver commesso adulterio, ha una figlia di cui si rifiuta di rivelare il padre, lottando per crearsi una nuova vita di pentimento e dignità. Nell'insieme, Hawthorne esplora i temi della grazia, della legalità e della colpa.
La lettera scarlatta è incorniciata da un'introduzione (chiamata "La dogana") nella quale lo scrittore, un alter ego di Hawthorne, finge di aver trovato documenti e carte che raccontano la storia di Prynne e ne provano l'autenticità. Il narratore sostiene anche che quando toccò la lettera ricamata (trovata assieme alle carte) aveva provato "un calore bruciante... come se la lettera non fosse di panno scarlatto, ma di ferro arroventato fino a diventare rosso". In precedenza Hawthorne aveva lavorato nella Dogana di Salem per lungo tempo, perdendo il proprio lavoro a causa di un cambiamento dell'amministrazione politica.
Giacchetta bianca ( 1850 )
Giacchetta bianca (o il mondo visto da una nave da guerra) è il quinto romanzo dello scrittore statunitense Herman Melville, pubblicato per la prima volta nel 1850. Il libro prende spunto dal servizio svolto dall'autore per 14 mesi a bordo di una fregata della marina degli Stati Uniti.
Per quanto riguarda la materia trattata, lo stile e il simbolismo del colore bianco questo romanzo è il diretto precursore del più celebre ed immediatamente successivo Moby Dick.
Trama :
Viene descritto il viaggio compiuto dalla fregata Neversink: la narrazione inizia con l'annuncio del ritorno da Callao in Perù ove si trova, la nave da guerra è al termine del suo primo semestre di viaggio.Nel corso della storia verranno toccati Capo Horn, Rio de Janeiro e l'equatore.
Vengono trattati i vari aspetti della vita a bordo della nave militare e vengono approfonditamente descritti i livelli gerarchici e i rispettivi rapporti intrattenuti dalle persone a bordo; viene illustrata inoltre una gran varietà di situazioni che insorgono durante la traversata oceanica: queste includono ad esempio il tipo di alloggiamenti dell'equipaggio, il mantenimento della pulizia sulla nave, come viene trascorso il tempo libero dai marinai, la sepoltura in mare per i morti e le pene comminate per gli eventuali reati commessi a bordo. Infine le abitudini generali e le attività di contrabbando.
Personaggi:
White-Jacket
il protagonista e narratore della vicenda, così soprannominato perché è l'unico a indossare a bordo un cappotto bianco. Marinaio novizio su una nave della marina, la sua giacca lo mette spesso nei guai, soprattutto a causa del suo candore. Jack Chase
un marinaio di origine inglese, universalmente considerato dai suoi compagni e anche dagli ufficiali come l'epitome del vero e buon uomo di mare: di cuore sensibile, coraggioso e schietto che agisce da mediatore nei conflitti. Mostra un profondo disprezzo per coloro che sono imbarcati nelle baleniere. La sua concezione di uomo ideale lo porta a disertare mentre si trova in Bolivia per mettersi a combattere a favore della libertà e i diritti umani di quella popolazione. Claret
il capitano dell'imbarcazione, un tipo dal carattere severo ed imperioso; è in realtà un alcolizzato. Rappresenta il sovrano con autorità assoluta. Selvagee
un tenente tirannico. Mad Jack
tenente il cui carattere è l'esatto opposto di Selvagee. Lemsford
un marinaio che aspira ad essere in poeta. Quoin
marinaio infaticabile, sempre ligio ad eseguire i propri doveri, che consistono principalmente nel prendersi cura e tener sotto controllo l'armeria di bordo. Nord
un marinaio dallo sguardo costantemente cupo, un tipo scontroso di disposizione malinconica; il suo unico amico è Lemsford. Wooloo
servitore polinesiano del Commodoro. il dottore
medico di bordo, esercita la sua professione col massimo entusiasmo possibile.
Per quanto riguarda la materia trattata, lo stile e il simbolismo del colore bianco questo romanzo è il diretto precursore del più celebre ed immediatamente successivo Moby Dick.
Trama :
Viene descritto il viaggio compiuto dalla fregata Neversink: la narrazione inizia con l'annuncio del ritorno da Callao in Perù ove si trova, la nave da guerra è al termine del suo primo semestre di viaggio.Nel corso della storia verranno toccati Capo Horn, Rio de Janeiro e l'equatore.
Vengono trattati i vari aspetti della vita a bordo della nave militare e vengono approfonditamente descritti i livelli gerarchici e i rispettivi rapporti intrattenuti dalle persone a bordo; viene illustrata inoltre una gran varietà di situazioni che insorgono durante la traversata oceanica: queste includono ad esempio il tipo di alloggiamenti dell'equipaggio, il mantenimento della pulizia sulla nave, come viene trascorso il tempo libero dai marinai, la sepoltura in mare per i morti e le pene comminate per gli eventuali reati commessi a bordo. Infine le abitudini generali e le attività di contrabbando.
Personaggi:
White-Jacket
il protagonista e narratore della vicenda, così soprannominato perché è l'unico a indossare a bordo un cappotto bianco. Marinaio novizio su una nave della marina, la sua giacca lo mette spesso nei guai, soprattutto a causa del suo candore. Jack Chase
un marinaio di origine inglese, universalmente considerato dai suoi compagni e anche dagli ufficiali come l'epitome del vero e buon uomo di mare: di cuore sensibile, coraggioso e schietto che agisce da mediatore nei conflitti. Mostra un profondo disprezzo per coloro che sono imbarcati nelle baleniere. La sua concezione di uomo ideale lo porta a disertare mentre si trova in Bolivia per mettersi a combattere a favore della libertà e i diritti umani di quella popolazione. Claret
il capitano dell'imbarcazione, un tipo dal carattere severo ed imperioso; è in realtà un alcolizzato. Rappresenta il sovrano con autorità assoluta. Selvagee
un tenente tirannico. Mad Jack
tenente il cui carattere è l'esatto opposto di Selvagee. Lemsford
un marinaio che aspira ad essere in poeta. Quoin
marinaio infaticabile, sempre ligio ad eseguire i propri doveri, che consistono principalmente nel prendersi cura e tener sotto controllo l'armeria di bordo. Nord
un marinaio dallo sguardo costantemente cupo, un tipo scontroso di disposizione malinconica; il suo unico amico è Lemsford. Wooloo
servitore polinesiano del Commodoro. il dottore
medico di bordo, esercita la sua professione col massimo entusiasmo possibile.
La collana della regina (1850)
La collana della regina è un romanzo storico scritto da Alexandre Dumas nel 1850. Si colloca come secondo libro del Ciclo di Maria Antonietta e della Rivoluzione.
Ciclo di Maria Antonietta e della Rivoluzione
Giuseppe Balsamo (1848)
La collana della regina (1850)
Ange Pitou (1851)
La contessa di Charny (1855)
Il cavaliere di Maison-Rouge (1846)
Ciclo di Maria Antonietta e della Rivoluzione
Giuseppe Balsamo (1848)
La collana della regina (1850)
Ange Pitou (1851)
La contessa di Charny (1855)
Il cavaliere di Maison-Rouge (1846)
Stazione di Alessandria Attivazione Nel 1850
La stazione di Alessandria è una stazione ferroviaria posta sulla linea Torino-Genova e capolinea delle linee per Cavallermaggiore, per Chivasso, per Novara, per Ovada, per Pavia, per Piacenza e per San Giuseppe di Cairo.
Storia
La stazione del 1850
La stazione del 1850
Il primo fabbricato viaggiatori venne costruito tra il 1849 e il 1850 da Alessandro Mazzucchetti, ingegnere del Genio Civile che progettò anche le stazioni di Genova Piazza Principe e Torino Porta Nuova.
L'architettura dell'edificio era di tipo neoclassico: il prospetto principale assomigliava ad un tempio dorico con un corpo centrale affiancato da due corpi laterali in mattone collegati da un intercolumnio in granito e trabeazione in stucco che terminava ai lati con due archi a tutto sesto. Gli elementi architettonici più evidenti erano i capitelli, i triglifi ed il timpano che sovrastava l'ingresso. Il fronte era decorato da elementi floreali con un richiamo di tipo classico, da festoni, figure allegoriche e nella parte superiore lo stemma reale dei Savoia.
La pensilina della stazione del 1850 segna un passaggio fondamentale nella storia della architettura ferroviaria: si ha per la prima volta la realizzazione di tetti metallici al posto delle incavallature lignee.
Si trattava di una pensilina a superficie voltata composta da un grande arco ribassato costruito a traliccio e composto da ferro e dal Larice rosso di Corsica (l'uso del legno fu limitato alle correnti superiori ed inferiori della struttura e alle travi diagonali.
Il fabbricato del Mazzucchetti venne demolita a seguito dell'approvazione del progetto della nuova stazione ed il definitivo impegno di spesa, nel 1938, da parte del Ministero delle Comunicazioni. L'anno seguente si aprì il cantiere ed il fabbricato viaggiatori fu inaugurato nel Giugno del 1940 e l'intero nuovo complesso nel 1942.
Fu scelto l'architetto capo del settore costruzioni delle Ferrovie dello Stato Roberto Narducci che aveva già progettato almeno quaranta stazioni tra cui Massa Centro[1] e Viareggio.
L'edificio del Narducci è di marcato stile razionalista: è composto da un corpo centrale che raggiunge in alcuni punti i tre livelli e da due corpi laterali simmetrici; adiacenti ai corpi laterali ci sono alcuni cortili che danno su piazza Cauriel.
All'interno del fabbricato la biglietteria è separata dalla piazza da cinque vetrate intervallate da colonne in marmo; una seconda fila di pilastri delimita l'area degli accessi ed una terza separa i vari sportelli della biglietteria. Il corridoio che fiancheggia l'atrio biglietteria conduce ai binari.
I due corpi centrali contengono al loro interno due chiostri centrali che sono protetti da una pensilina aperta sui lati il cui accesso è delimitato da alcuni pilastri in cemento. Al primo piano ci sono finestre decorate da cornicioni in marmo che hanno fanno luce all'atrio.
I materiali di rivestimento ci sono graniti verdi di Mergozzo (presso il corpo centrale), marmo verde Issori (per i pilastri dell'accesso), travertino (fino all'altezza della pensilina). Fra i numerosi interventi di manutenzione compiuti negli anni, quello del 2008 comportò la trasformazione dei chiostri interni con copertura mediante lucernai in vetro e acciaio a beneficio di nuove attività commerciali e servizi per i viaggiatori.
Stazione di Milano Porta Nuova (1850)
La seconda stazione di Milano Porta Nuova era una stazione ferroviaria di Milano e capolinea della linea ferroviaria per Como.
L'impianto, dismesso dal 1864, sorge sulla via Melchiorre Gioia, lungo quella che era l'alzaia del Naviglio della Martesana, poi coperto.
Storia :
La stazione fu inaugurata nel 1850 in sostituzione della omonima stazione precedente, divenuta insufficiente a smistare l'aumentato traffico ferroviario.
Progettista del complesso fu l'ingegner Alfredo Lecointe che disegnò uno scalo a 5 binari sormontati da un'ampia tettoia in legno.
Nel 1859 divenne capolinea anche della linea per Magenta.
La stazione restò in servizio pochi anni: infatti nel 1864 il nodo ferroviario milanese fu completamente ridisegnato concentrando tutte le linee ferroviarie in un'unica grande stazione centrale e chiudendo i vecchi capilinea passeggeri. La stazione di Porta Nuova venne utilizzata per il traffico merci fino al 1º gennaio 1873[1], quindi fu dismessa e l'edificio adibito a sede della dogana ferroviaria. Attualmente ospita un comando della Guardia di Finanza.
Stazione meteorologica di Urbino Osservatorio "Serpieri" Nel 1850
Storia :
La stazione meteorologica iniziò la sua attività il 1º maggio 1850, grazie ad Alessandro Serpieri che istituì un osservatorio con lo scopo di effettuare osservazioni meteorologiche e geofisiche. La sua originaria ubicazione era alla sommità della torre del Palazzo del Collegio Raffaello.
L'osservatorio fu poi trasferito a partire dal 1943 nell'attuale ubicazione alla sommità della torretta del Palazzo dell'Università; nonostante il cambio di ubicazione, i dati rilevati non hanno subito disomogeneità nel corso del tempo viste le stesse tipologie di stazioni meteorologiche in contesto urbano collocate alla sommità di fabbricati, peraltro situati a breve distanza tra loro.
La stazione meteorologica iniziò la sua attività il 1º maggio 1850, grazie ad Alessandro Serpieri che istituì un osservatorio con lo scopo di effettuare osservazioni meteorologiche e geofisiche. La sua originaria ubicazione era alla sommità della torre del Palazzo del Collegio Raffaello.
L'osservatorio fu poi trasferito a partire dal 1943 nell'attuale ubicazione alla sommità della torretta del Palazzo dell'Università; nonostante il cambio di ubicazione, i dati rilevati non hanno subito disomogeneità nel corso del tempo viste le stesse tipologie di stazioni meteorologiche in contesto urbano collocate alla sommità di fabbricati, peraltro situati a breve distanza tra loro.
Caratteristiche :
La stazione meteorologica si trova nell'area climatica dell'Italia centrale, nelle Marche, in provincia di Pesaro e Urbino, nel comune di Urbino, a 476 metri s.l.m. e alle coordinate geografiche 43°43′23″N 12°38′12″E.
Gestita dall'Università degli Studi di Urbino, si contraddistingue per una moderna centralina automatica installata nel marzo 2000 che è andata ad affiancare la tradizionale stazione meccanica con gli strumenti ancora collocati nell'originaria finestra meteorica.
L'osservatorio meteorologico è intitolato al suo fondatore Alessandro Serpieri.
Gestita dall'Università degli Studi di Urbino, si contraddistingue per una moderna centralina automatica installata nel marzo 2000 che è andata ad affiancare la tradizionale stazione meccanica con gli strumenti ancora collocati nell'originaria finestra meteorica.
L'osservatorio meteorologico è intitolato al suo fondatore Alessandro Serpieri.
Corpi celesti scoperti nel 1850
Parthenope
Partenope (dal greco Παρθενόπη, catalogato secondo la designazione asteroidale come 11 Parthenope) è un grande e brillante asteroide della Fascia principale. La sua composizione è una miscela di nichel e ferro allo stato metallico e silicati di magnesio e ferro.
Parthenope fu scoperto l'11 maggio 1850 da Annibale de Gasparis come un oggetto della nona magnitudine, il secondo dei nove asteroidi individuati nella sua vita. Fu battezzato così in onore di Partenope, una delle sirene nella mitologia greca, che secondo la leggenda fondò la città di Napoli. Quando de Gasperis individuò Igea nel 1849, John Herschel gli suggerì di adottare il nome Partenope per quell'asteroide, per omaggiare il luogo della scoperta - l'osservatorio di Capodimonte a Napoli. De Gasperis, allora, decise di impegnarsi allo stremo per individuare un secondo asteroide e realizzare l'impresa di «avere una "Parthenope" nei cieli»; annunciò la scoperta in una lettera a John Herschel nel maggio del 1850.
È stata osservata solo un'occultazione stellare di Parthenope, il 13 febbraio 1987.
Victoria
Vittoria (dal latino Victoria, catalogato secondo la designazione asteroidale come 12 Victoria) è un grande asteroide della Fascia principale. È probabilmente composto da rocce silicate, nichel e ferro.
Victoria fu scoperto il 13 settembre 1850 da John Russell Hind,[1] grazie al telescopio da 7 pollici dell'osservatorio privato di George Bishop (di cui era direttore) al Regents Park di Londra, Regno Unito.
Victoria è ufficialmente battezzato come la dea Romana della vittoria, ma il nome ricorda anche quello della regina Vittoria del Regno Unito. La dea Victoria (Nike per i greci, vedi 307 Nike) era figlia di Stige e del titano Pallante. La coincidenza del nome con quello della sovrana allora regnante causò all'epoca una piccola controversia. Benjamin Apthorp Gould, editore del prestigioso Astronomical Journal, adottò il nome Clio (usato ora per 84 Klio), proposto dallo stesso scopritore come alternativa[2]. Tuttavia, William Cranch Bond, dell'Harvard College Observatory, allora la più alta autorità astronomica in America, considerò che la condizione mitologica era sufficiente e pertanto il nome era accettabile. Quest'ultima opinione finirà per prevalere.
L'interferometria a macchie del 1980 e le osservazioni radar del 1995 hanno mostrato che la forma di Victoria è allungata, e che quindi potrebbe trattarsi di un asteroide binario.[3]
Tra il 1958 e il 1998, di Victoria sono state osservate tre occultazioni stellari.
Victoria fu scoperto il 13 settembre 1850 da John Russell Hind,[1] grazie al telescopio da 7 pollici dell'osservatorio privato di George Bishop (di cui era direttore) al Regents Park di Londra, Regno Unito.
Victoria è ufficialmente battezzato come la dea Romana della vittoria, ma il nome ricorda anche quello della regina Vittoria del Regno Unito. La dea Victoria (Nike per i greci, vedi 307 Nike) era figlia di Stige e del titano Pallante. La coincidenza del nome con quello della sovrana allora regnante causò all'epoca una piccola controversia. Benjamin Apthorp Gould, editore del prestigioso Astronomical Journal, adottò il nome Clio (usato ora per 84 Klio), proposto dallo stesso scopritore come alternativa[2]. Tuttavia, William Cranch Bond, dell'Harvard College Observatory, allora la più alta autorità astronomica in America, considerò che la condizione mitologica era sufficiente e pertanto il nome era accettabile. Quest'ultima opinione finirà per prevalere.
L'interferometria a macchie del 1980 e le osservazioni radar del 1995 hanno mostrato che la forma di Victoria è allungata, e che quindi potrebbe trattarsi di un asteroide binario.[3]
Tra il 1958 e il 1998, di Victoria sono state osservate tre occultazioni stellari.
Egeria
Egeria (dal latino Ēgeria, originariamente chiamato Egeria Ferdinandea,[1][2] catalogato secondo la designazione asteroidale come 13 Egeria) è un grande asteroide della fascia principale.
Egeria Ferdinandea[1] fu scoperto da Annibale De Gasparis il 2 novembre 1850 all'Osservatorio astronomico di Capodimonte, a Napoli.[2] Fu battezzato così da Urbain Le Verrier (colui che aveva scoperto Nettuno) su richiesta dello stesso de Gasparis.[3] Egeria era una dea (o una ninfa, a seconda delle fonti) protettrice delle nascite e delle sorgenti, venerata ad Aricia, l'antica Ariccia, comune nell'area dei Castelli Romani, divenuta moglie di Numa Pompilio, secondo re di Roma.
Di Egeria è stata osservata un'occultazione stellare l'8 gennaio 1992;[4] l'evento ha fornito informazioni sulla forma dell'asetroide, piuttosto circolare (le misurazioni del disco hanno fornito 217 × 196 km).
Egeria Ferdinandea[1] fu scoperto da Annibale De Gasparis il 2 novembre 1850 all'Osservatorio astronomico di Capodimonte, a Napoli.[2] Fu battezzato così da Urbain Le Verrier (colui che aveva scoperto Nettuno) su richiesta dello stesso de Gasparis.[3] Egeria era una dea (o una ninfa, a seconda delle fonti) protettrice delle nascite e delle sorgenti, venerata ad Aricia, l'antica Ariccia, comune nell'area dei Castelli Romani, divenuta moglie di Numa Pompilio, secondo re di Roma.
Di Egeria è stata osservata un'occultazione stellare l'8 gennaio 1992;[4] l'evento ha fornito informazioni sulla forma dell'asetroide, piuttosto circolare (le misurazioni del disco hanno fornito 217 × 196 km).
American Express Company creata Nel 1850
Luigi Bettarini è stato un architetto italiano ( Morto nel 1850 )
Luigi Bettarini
Luigi Bettarini (Portoferraio, 1790 – Livorno, 1850) è stato un architetto italiano.
Nel 1830, insieme a Luigi Bosi, collaborò al nuovo piano regolatore di Livorno.
Nel 1844 realizzò la grande copertura a volta del Fosso Reale (denominata Voltone) che costituisce l'attuale piazza della Repubblica e la rettifica del tracciato dei fossi stessi. Fu l'autore del Palazzo dell'Aquila Nera, del progetto del ponte di Santa Trinità (demolito negli anni trenta del XX secolo perché pericolante) e del ponte di San Benedetto.
Nel 1927 gli fu dedicata una parte degli scali Saffi.
Piccola era glaciale Nell 1850
La Piccola era glaciale (PEG), in inglese Little Ice Age (LIA), è un periodo della storia climatica della Terra che, pur con una non totale convergenza degli studi, va dalla metà del XVI alla metà del XIX secolo[1][2][3][4] in cui si registrò un brusco abbassamento della temperatura media terrestre nell'emisfero settentrionale. Un nome alternativo e più corretto per questo periodo è "Piccola età glaciale", a rimarcare il fatto che il lungo lasso di tempo di cui stiamo parlando non arriva ad essere propriamente un'era (ossia centinaia di milioni di anni). La PEG, climatologicamente parlando, è considerata una fase stadiale dell'attuale periodo interglaciale.
Questo periodo fu preceduto da un lungo periodo di temperature relativamente elevate chiamato periodo caldo medievale. Dal 1300 infatti si è assistito ad un graduale avanzamento dei ghiacciai che nel periodo precedente si erano ritirati molto o erano scomparsi, e si ebbe anche la formazione di nuovi. Tali ghiacciai sono arrivati al culmine della loro estensione intorno al 1850, quando le temperature ripresero ad aumentare causando una nuova riduzione della massa dei ghiacci. Questa fase è tuttora in corso sotto il nome di riscaldamento globale e comporta una conseguente riduzione dell'estensione delle superfici ghiacciate.
In un primo tempo si credette che la piccola era glaciale fosse un fenomeno globale, ma attualmente si tende a dubitarne, relegandolo per lo più al continente europeo. Per esempio la ricostruzione delle temperature medie dell'emisfero nord negli ultimi 1000 anni non mostra un pronunciato raffreddamento. Dai dati raccolti sembra che in questo periodo le temperature medie si siano abbassate soltanto di 1 °C circa.[5] Il dibattito sull’entità di tale raffreddamento, così come del precedente riscaldamento medioevale, rimane tuttavia ancora aperto e non concluso.[
L'emisfero nord :
La piccola era glaciale ha causato inverni molto freddi in molte parti del mondo, ma la documentazione dettagliata riguarda soltanto l'Europa e l'America del Nord. Nella metà del XVII secolo i ghiacciai delle Alpi svizzere avanzarono gradualmente inglobando alcune fattorie e distruggendo interi villaggi.[9]
Il fiume Tamigi e i molti canali dei fiumi dei Paesi Bassi si congelarono spesso durante l'inverno, tanto che fu possibile pattinare e perfino tenere fiere sul ghiaccio.[9] Nell'inverno del 1780 il porto di New York ghiacciò, consentendo di andare a piedi da Manhattan a Staten Island. Il mare ghiacciato circondante l'Islanda si estese per molti chilometri in tutte le direzioni impedendo l'accesso navale ai porti dell'isola. Lo stesso avvenne anche in Groenlandia. In entrambe le isole le navi commerciali provenienti dalla Danimarca non riuscivano più a entrare nei porti. Questo fece sì che la Danimarca cominciò quasi a dimenticare l'esistenza delle due isole. Si hanno riferimenti del 1500 di una spedizione danese che trovò la Groenlandia completamente disabitata. In particolar modo, viene ricordato l'inverno 1709 che, secondo gli esperti, è considerato il più freddo degli ultimi 500 anni per il continente Europeo.
Gli inverni più rigidi ebbero effetti sulla vita umana in larga e piccola misura. Le carestie divennero più frequenti (quella del 1315 uccise 1,5 milioni di persone) e le morti per le malattie aumentarono. La piccola era glaciale è visibile nelle opere d'arte dell'epoca; la neve domina molti paesaggi del pittore fiammingo Pieter Brueghel il Vecchio, vissuto tra il 1525 e il 1569.
- Fine della piccola era glaciale :
La piccola era glaciale si è conclusa intorno al 1850, quando il clima terrestre ha iniziato gradualmente a riscaldarsi. Un'evidente testimonianza dell'incremento della temperatura durante gli ultimi 150 anni è costituito dall'impressionante arretramento delle lingue glaciali in pressoché tutti i ghiacciai del mondo.
Un esempio spettacolare di questo fenomeno è visibile nell'alta valle del Rodano in Svizzera.
- Attività solare :
Nel periodo compreso tra il 1645 e il 1715, proprio nell'intervallo centrale della piccola era glaciale, le macchie solari rilevate furono insolitamente poche, con alcuni anni senza la rilevazione di alcuna macchia (l'osservazione delle macchie solari e la loro catalogazione iniziò intorno al 1610, qualche anno dopo l'invenzione del telescopio). Questo periodo di ridotta attività solare è conosciuto come minimo di Maunder e combaciò con il periodo più rigido della piccola era glaciale. Un altro periodo di ridotta attività solare, noto come minimo di Spörer, corrisponde a un significativo periodo freddo tra il 1460 e il 1550.[10] Bisogna dire che attualmente non è noto nessun collegamento diretto tra basso numero di macchie solari e basse temperature terrestri,[11][12] ma questa coincidenza suggerisce che tale collegamento ci possa essere.
Altri indicatori di una bassa attività solare in questo periodo sono rappresentati dai livelli di carbonio-14 e di berillio-10.[13] Recenti studi effettuati studiando carotaggi di ghiaccio prelevati in Groenlandia hanno determinato i minimi di attività solare degli ultimi 1000 anni analizzando l'isotopo del berillio-10; questo è creato dall'interazione dei raggi cosmici con il ghiaccio. Questi studi suggeriscono che le variazioni dell'attività solare influenzino in qualche modo il clima terrestre provocandone riscaldamenti e raffreddamenti. Come risultato ulteriore questi dati mostrano che il sole non è mai stato così attivo nell'ultimo millennio come negli ultimi 60 anni
mardi 15 septembre 2015
La Pobbia 1850
La Pobbia 1850 è uno dei più antichi ristoranti di Milano e conserva ancora il fascino della sua lunga storia. Proprio grazie alla sua fama e tradizione è entrato far parte dell’esclusivo novero dei Locali Storici d’Italia ed è stato insignito dal Comune di Milano con il riconoscimento di “Bottega Storica” di Milano.
Da Venezia col Vapore (1850-1866)
Chi non conosce i “vaporetti“, che a Venezia rappresentano la modalità prevalente di trasporto pubblico? Il termine “vaporetti” (tuttora utilizzato nel linguaggio comune) ci rimanda ai tempi in cui dalla navigazione a vela (o a remi) si passò alla propulsione “a vapore”, rivoluzionaria in quanto affrancava la navigazione dai capricci del vento (o dalla fatica delle braccia, per chi andava a remi). Quando e dove avvenne questo cambiamento epocale, figlio della rivoluzione industriale? Il primo prototipo funzionante fu quello varato nel 1783 dal francese Claude de Jouffroy, che per esso coniò il termine “piroscafo“. Non ebbe fortuna, e la rivoluzione francese (oltre a far ruzzolare molte teste) fece anche naufragare i suoi progetti. La paternità della navigazione (intesa come servizio di linea) “a vapore” venne di conseguenza attribuita all’americano Robert Fulton, che poteva beneficiare del motore ideato dal compatriota James Watt. A partire dal 1807, i suoi battelli a vapore cominciarono dunque a solcare il fiume Hudson: navigazione interna, perché questi battelli erano considerati inadatti alla navigazione in mare aperto (nella prima traversata atlantica del 1838, uno dei due piroscafi che si cimentarono nell’impresa fu costretto a bruciare l’arredamento delle cabine per mantenere in funzione la caldaia).
Per la cronaca, il primo dei battelli di Robert Fulton venne dato alle fiamme dai barcaioli del fiume che temevano di restare senza lavoro, e rimostranze simili ebbero luogo a Venezia qualche decennio dopo, ma diversamente dai barcaioli del fiume Hudson, i gondolieri ebbero presto modo di rifarsi grazie al nascente fenomeno del “turismo”, e tuttora li possiamo ammirare all’opera. Sempre per la cronaca, va ricordato che fino alla fine del Settecento, le famiglie nobili a Venezia avevano alle loro dipendenze un gondoliere “de casada” (lavoratore dipendente a tutti gli effetti) mentre i cittadini comuni potevano contare su una fittissima rete di gondole “da parada” (per l’attraversamento del Canal Grande) le cui ultime vestigia sono rappresentate dal servizio di “traghetto” tuttora funzionante in sette dei 22 “stazi” originari. Purtroppo per noi, anche questi stazi sono attualmente a richio di estinzione:
http://rialtofil.com/2013/07/22/2557/
In parallelo allo sviluppo della navigazione a vapore si sviluppa la storia degli “annulli di navigazione“, utilizzati per la corrispondenza che di questi mezzi di trasporto si valeva per giungere a destinazione. Nei territori allora austriaci del Lombardo-Veneto, tale compito venne svolto principalmente dai battelli “a vapore” del Lloyd Austriaco, ed ecco spiegato il significato del bollo annullatore apposto sul francobollo della prima foto (un 30 centesimi della prima emissione): “da Venezia (a Trieste) con il battello a vapore”. Come si presentava, quel piroscafo che faceva la spola fra Venezia e Trieste? Per gentile concessione dell’agenzia Bozzo, eccolo qui, il piroscafo Trieste (la foto è del 1865: un anno prima della terza guerra di indipendenza che metterà fine al dominio austriaco su Venezia):
Il piroscafo Trieste venne varato nel 1847, i primi francobolli del lombardo-veneto vennero introdotti nel 1850. La lettera della foto di copertina è del 1858, mentre l’annullo “da Venezia col Vapore” rimase in uso fino al 1866. Ne esistono due tipi (quello della foto è il più raro) e le sue quotazioni su lettera vanno dai 110 ai 2.500 euro. Il valore economico dipende dal tipo dell’annullo e dal francobollo annullato: le quotazioni più elevate corrispondono ai francobolli della terza emissione come questo della prossima foto (8 “punti”, per il Sassone annullamenti) e per quelli della quarta emissione (anno 1863) come quello della foto successiva (10 “punti” pari a 2.500 euro, per un francobollo su lettera, e a 600 euro se si tratta di un semplice frammento).
I piroscafi del Lloyd assicuravano il collegamento regolare (via mare) con Trieste. Per il servizio di linea adibito alla navigazione interna (Canal Grande compreso) occorre invece attendere il 1881, quando ormai Venezia fa parte del Regno d’Italia. I vaporetti erano quelli della “Compagnie des bateaux Omnibus” (società per azioni a maggioranza francese); nel 1898 verrà sostituita dalla “Società Veneta Lagunare” (azienda privata, anche questa) a cui subentrerà la “Azienda Comunale per la Navigazione Interna” costituita dal Comune dopo referendum consultivo della popolazione residente, tenutosi nel 1903. La gestione diretta (azienda comunale) del servizio di linea dei vaporetti durerà per tutto il secolo e viene a cessare soltanto nel 2001 (ma senza referendum, stavolta), quando l’azienda comunale (ex ACNIL, ora ACTV) si trasforma in società per azioni. Per saperne di più:
http://www.actv.it/azienda/lastoria
I battelli a vapore andranno “in pensione” dopo la Seconda guerra mondiale, con l’arrivo dei motori diesel che sono riusciti nel “capolavoro” di appestare l’aria anche nell’unica città italiana libera dalle automobili (la loro sostituzione con motori più recenti è per fortuna in corso d’opera), ma a Venezia tuttora si dice “prendo il vapore” (o “il vaporetto”) per riferirsi ai mezzi pubblici di trasporto acqueo.
Quand’è che venne introdotta in Italia, la navigazione a vapore, e dove? La risposta smentisce molti stereotipi perché (così come per la prima linea ferroviaria) il primato sembra spettare al Regno delle Due Sicilie. Secondo Claudio Ressmann (in Rivista Marittima, Febbraio 2007):
Spetta al re Ferdinando I di Borbone ed all’aristocrazia napoletana il merito di avere sostenuto le proposte di uno straniero, il capitano marittimo francese Pietro Andriel, fervente ammiratore di Roberto Fulton e del suo battello fluviale varato nel 1807. Non avendo trovato sostenitori in Francia, Andriel espose le proprie idee alla Corte napoletana che le accolse così favorevolmente da indurre Ferdinando I a concedergli il 17 gennaio 1817 il monopolio della navigazione a vapore sulle acque del Regno. È accordato a Pietro Andriel, nativo di Montpellier il privilegio di privata della durata di 15 anni per la navigazione accelerata a mezzo di trombe a fuoco, detta navigazione a vapore, nelle acque che bagnano il litorale nei fiumi del nostro Regno delle Due Sicilie, qualunque sia il sistema di costruzione delle dette trombe. Sorse così, finanziata da membri dell’aristocrazia e del mondo economico partenopeo, la «Compagnia privilegiata per l’introduzione della navigazione a vapore nel Regno delle Due Sicilie».
Altri sostengono che in realtà, il primato spetti al piroscafo Carolina utilizzato (nello stesso anno!) per il collegamento Venezia-Trieste: http://www.webalice.it/cherini/vapore/vaporiere.html ma siamo in epoca anteriore alla creazione del Lloyd Austriaco (che risale al 1833) e le fonti documentali mi sembrano incerte. Resta il fatto che i primi servizi di linea a vapore del Mediterraneo videro la luce in Italia, e poco importa se i primi furono borbonici o austriaci (l’Italia come entità statuale ancora non esisteva).
Nel giro di pochi anni, i piroscafi postali divennero una realtà familiare in tutti i porti mediterranei. Nella prossima foto, una lettera viaggiata nel 1859 da Genova a Messina “col vapore postale francese”, affrancata con i francobolli “sardi” dell’epoca (il Regno di Sardegna che allora comprendeva Piemonte, Liguria, Sardegna, Val d’Aosta, Savoia e Contea di Nizza) e tassata allo sbarco con 22 “grana” (la valuta in corso nel Regno delle due Sicilie, di cui rimane traccia tuttora nell’espressione “avere la grana”):
Merryweather, 1850
The Early Years
Prior to the late 1700's the small number of manually worked fire engines on Merseyside were all hand dawn. They were usually the responsibility of the Parish. It was often the case that an annual fee would be paid to a local tradesman to maintain the engine.
The most comprehensive records we hold relate to Liverpool, but a broadly similar pattern was repeated across Merseyside although most smaller parishes might only have one or indeed no engine.
Merryweather, 1888.
Merryweather, 1888.
These were the days before major Industrialisation, Liverpool was a however from the mid 1700's a growing Borough as well as developing as a port .
The fire risk was however not at the level it would become in the 1800's hence the lack of any professional or indeed part time Fire Brigade. Members of the public assisted in the operation of the engines as and when required.
I FATTI DELL'ANNO 1850
27 GENNAIO - Dopo aver stroncate le rivolte in Sicilia, e averle represse duramente, tanto da meritarsi il nome di "re bomba", Ferdinando II di Borbone dopo mesi di combattimenti ha fatto capitolare una alla volta le città ribelli. Ultima a cedere Palermo nello scorso maggio. Qualche mese di pace, poi a fine gennaio di quest'anno un altro tentativo insurrezionale guidato da un gruppo di mazziniani con a capo NICOLA GARZILLI. La rivolta fallisce per il pronto intervento delle truppe borboniche; cinque capi sono immediatamente fucilati, altri complici arrestati poi condannati a carcere duro.
25 FEBBRAIO - Falliscono le missioni di Balbo e Siccardi inviati a Gaeta da Vittorio Emanuele per riprendere le relazioni con lo Stato Pontificio. Il Papa non ha smesso di condannare lo Statuto che è stato lasciato -anche dopo l'armistizio con gli austriaci- in vigore, contrariamente a quello che hanno fatto tutti gli altri stati che lo hanno stracciato. Sollecitati dai gruppi anticlericali piemontesi che non hanno gradito le ingerenze del papa, ma anche per aver espresso poco lusinghiere opinioni sui cattolici piemontesi, si arriva alla definitiva rottura dei colloqui con il papa ma anche anche con la Curia torinese che invece di collaborare -essendo sul luogo e dovendo convivere- ha innestato una violenta polemica con l' arcivescovo Fransoni. In questo clima litigioso, Vittorio Emanuele che desidera la pace scrive accorato a Pio IX "sono tensioni che se alimentate da una cattiva volontà di cooperare invece di giungere al bene e alla pacifica convivenza cagioneranno mali ancora più grandi alla religione. I tempi sono cambiati e bisogna tenerne conto, anche gli oppositori al governo sono ormai i difensori e ritengono inviolabile lo Statuto"..."Tutte le varie correnti sono concordi di fare riforme nel campo religioso". Pur essendo un avvertimento chiaro, energico e realistico perchè oggettivo, perché la situazione è proprio questa a Torino- l'appello del re è ignorato con ostinazione da Pio IX.
Proprio Siccardi che a Gaeta è stato accolto con ripugnanza perchè rappresentante di un governo costituzionale, rientrato a Torino si incarica di preparare un progetto di legge per l'abolizione del Tribunale ecclesiastico e le immunità del clero; il divieto di acquistare beni o ricevere donazioni dai cittadini senza il consenso dello Stato regio, e vari altri privilegi che si erano accumulati nei vari anni, oltre una limitazione delle troppe feste religiose, voluta dai borghesi perchè riducevano la produzione e i commerci.
9 MARZO - La Camera del Parlamento di Torino approva la legge Siccardi con 150 voti contro soli 26 ! Significa che anche l'opposizione ha votato a favore del governo. Pronta la reazione prima in parlamento di alcuni prelati senatori (che s'indignano e minacciano scomuniche), più sconsiderata quella dell'Arcivescovo Fransoni che invia una lettera a tutto il clero invitando a opporsi a questa legge e a destabilizzare il governo che l'ha promossa. Cioè un attacco allo Stato e al Parlamento. Scoperta la lettera il 21, l'arcivescovo è denunciato per cospirazione. Non comparirà il 28 aprile al processo. La forza pubblica il 4 maggio procederà al suo arresto.
8 APRILE - Pur tra mille polemiche in ogni corrente politica seguite dall' indignazione di tutto il clero, anche il Senato con 51 voti contro 29 (più esigua qui la vittoria per la presenza di molti prelati senatori) approva l'abolizione dei Tribunali e le immunità ecclesiastiche.
Grande manifestazione di folla alla sera per celebrare l'evento con giubilo. Ma la manifestazione è turbata dall'intervento della Polizia che arresta molte persone. Ricordiamo che il Vicario della Polizia che guida la repressione è il Conte Cavour, padre di Camillo, che fra poco troveremo dentro il governo.
12 APRILE - Pio IX lascia il suo rifugio di Gaeta, per far ritorno nella capitale. Il giorno prima ha invitato il Nunzio apostolico di Torino ad abbandonare per protesta la regia città piemontese sede del Regno di Sardegna. E proprio in Sardegna il Vescovo di Sassari invia al suo clero una lettera simile a quella di Torino. Anche lui verrà arrestato.
30 LUGLIO - Esiliato dai territori sabaudi dopo essere stato arrestato nell'ultima ribellione genovese, ora rimasto solo, dopo la morte di Anita, Giuseppe Garibaldi si è imbarcato su un piroscafo e ha raggiunto l'America. Trova un lavoro come operaio in una fabbrica di candele di cui è proprietario Meucci, il futuro inventore del telefono.
5 AGOSTO - Caduto gravemente ammalato, muore il fratello di Santorre Santarosa uno dei ministri del Regno sabaudo che ha votato la legge Siccardi. Il suo parroco gli nega i sacramenti e l'arcivescovo gli nega la sepoltura religiosa. (abbiamo già riportato nella prima pagine i fatti che seguirono che causeranno ostilità, incomprensione e infine una profonda frattura tra i Piemontesi sabaudi e la Chiesa)
8 SETTEMBRE - Mazzini dopo il fallimento della Repubblica romana, costretto di nuovo a fuggire, prima in Francia poi in Svizzera, braccato dalle polizie europee, si è infine rifugiato a Londra. Qui ha cercato di raccogliere intorno a un Comitato democratico europeo tutti gli emigranti politici fuggiti dal continente fin dal 1848. Si tenta di ricostituire un'altra rete di cospiratori fondando un Comitato nazionale italiano assieme a Saffi, Saliceti, Sirtori. Montecchi. Escono con un manifesto programmatico che è un invito alla rivoluzione unitaria repubblicana, ritenuta inevitabile per la liberazione dell'Italia.
21 SETTEMBRE - Nel "giro di vite" della restaurazione, fallito anche il progetto costituzionale in Toscana, l'arciduca Leopoldo II richiamato al potere, ignora la carta costituzionale che aveva in precedenza concessa; scioglie la Camera, reintroduce leggi severi di polizia, di censura, torna ad esercitare il potere assoluto.
A dicembre, Leopoldo II partecipa al progetto austriaco di una lega politica che ricorda molto da vicino quella istituita dopo il Congresso di Vienna nel 1815. Cioè reprimere con tutti i mezzi qualsiasi manifestazioni dei costituzionalisti.
12 OTTOBRE - Vacante il ministero dell'Agricoltura e del Commercio, dopo la scomparsa del Santarosa, D'Azeglio è costretto a chiamare di malavoglia al governo il Conte Camillo Benso di Cavour, già deputato dal 1848. D'Azeglio del resto non ha altra scelta, la sua corrente si è indebolita ed è costretto ad appoggiarsi a questo rappresentante della destra moderata, anche se Cavour ha in mente ben altro. Intanto vuole entrare.
1 DICEMBRE - Per prevenire future rivoluzioni - visto che Mazzini incita a farle - gli stati che hanno già conosciuto in questi ultimi due anni degli attacchi destabilizzanti, costituiscono una lega politica per stroncarli sul nascere. Vi partecipano oltre l'Austria che l'ha promossa assieme al Granducato di Toscana, il Regno delle Due Sicilie, lo Stato Pontificio, i ducati di Modena, e quello di Parma.
31 DICEMBRE - Anche nel Lombardo-Veneto sostanziali modificazioni nell'amministrazione austriaca. Sono eliminate la due cariche di vicerè. Sono sostituiti in Lombardia con un luogotenente e ottanta commissari di distretto, e nel Veneto con un altro luogotenente con settantanove commissari.
Ristabilito così l'ordine politico di questa seconda restaurazione, in Italia si arresta tutto un processo di sviluppo che da un decennio era appena iniziato e con molto ritardo rispetto agli altri stati Europei.
Inizia un periodo piuttosto critico con diversi fattori negativi concomitanti. Uno è quello legato al settore agricolo - colpito da due gravissime epidemie; un parassita alla vite (crittogama - proprio l'Italia che era il più grande produttore di zolfo) e uno nei bachi da seta (pebrina)- due settori trainanti nell'intera economia di alcune regioni). Ma il più grave danno non è tanto quello procurato materialmente nelle culture (pur consistente- nell'ordine dal 40 al 50 per cento) ma è quello della perdita di fiducia negli investimenti (soprattutto le banche) sull'agricoltura, proprio nel periodo in cui iniziava l'impiego dei fertilizzanti o l'uso delle macchine con le nuove tecniche produttive. L'abbandono della campagna da parte del grande capitale e dei latifondisti, inizia a creare dei gravi problemi sociali. Infatti in questi primi anni del 1850, gli investimenti e i capitali sono dirottati verso le imprese manifatturiere e verso le grandi industrie, che possono contare -mentre stanno nascendo e moltiplicandosi- su una grande disponibilità di manodopera a bassissimo costo.
A queste calamità si aggiunsero le spese e i debiti contratti nelle guerre. Non essendoci sufficienti entrate, il prelievo fiscale subì un forte aumento, contribuendo così ulteriormente a far fallire piccoli coltivatori, molte attività artigianali e a far aumentare la disoccupazione; la successiva caduta della produzione fece poi aumentare i prezzi dei beni di primo consumo; l'infernale circolo vizioso non smise di girare, e la fame per molti divenne l'unica inseparabile compagna per molti anni.
Le regioni più penalizzate furono quelle del sud. Nel Regno delle Due Sicilie, il sistema protezionistico dei latifondisti nei prossimi dieci anni creeranno enormi danni con gravi ripercussioni nei successivi decenni in tutto il settore ortofrutticolo e ceraicolo. Il disinteresse per il sistema viario, quasi del tutto assente quello ferroviario e navale, ben presto emargineranno tutte le produzioni locali, non potendo più queste essere presenti con tempestività e competitività nei grandi mercati europei in piena modernizzazione e razionalizzazione.
Più operose e dinamiche le due regioni Piemonte e Lombardia. Sia nell'agricoltura che nell'industria, le nuove tecnologie stanno creando già in questi primi anni di metà secolo le basi del triangolo industriale del nord ovest della penisola; cioè la metallurgia in Liguria, il tessile nel Biellese, l'industria meccanica a Torino e a Milano. Le più importanti in quest'ultime sono le costruzioni ferroviarie che danno non solo impulso a tutto il settore specifico e all'indotto, ma permettono a tutti gli altri rami dell'economia di allargare i mercati in Francia e nel centro Europa; spesso disinteressandosi del mercato locale. Scelte -quelle delle esportazioni- che avranno poi gravi ripercussioni interne quando scoppieranno delle ostilità (Accadrà tre volte nel corso del lungo cammino dell'Unità d'Italia e anche nell'Italia Repubblicana)
UNA PANORAMICA
SULL'INTERO ANNO 1850
( la irreversibile frattura con la Chiesa )
( la irreversibile frattura con la Chiesa )
In quasi tutti gli stati italiani, da Roma a Firenze, dal Veneto al Regno delle Due Sicilie e in quelli minori, l'intervento degli Austriaci ha permesso di far ritornare sul trono i sovrani legati alla politica conservatrice di Vienna anno 1815; che da allora è la solita, una sola: reprimere ogni manifestazione repubblicana, annientare tutti quei movimenti che hanno come obiettivo l'indipendenza e l'unità nazionale.
Nella grande fiammata che si era accesa nel '48-49, i governi democratici che si erano formati prendendo il potere, avevano elaborato dei programmi ambiziosi, alcuni utopistici, altri così complessi che avrebbero richiesto molti anni per ottenere qualche risultato, anche se ci fosse stato la piena concordia dei vari gruppi.
Tutti avevano tentato di realizzare una politica di riforme a favore dei ceti popolari urbani che costituivano la base dei vari movimenti. Senza entrare nei particolari, gli 8 articoli dei Princìpi fondamentali, e i 69 articoli dei Dirittti e Doveri promulgati nella Carta della Repubblica Romana, di cui abbiamo riportato il documento lo scorso anno, come progetto riformistico era più o meno identico a quello promulgato poi in Toscana, a Venezia, in Sicilia, in Lombardia ecc. (che a loro volta avevano dentro un po' di tutto; Costituzione Spagna 1812, la Francese 1830, la Belga, la Inglese)
Furono tassate le proprietà dei ricchi che prima non pagavano le tasse; furono abolite quelle più impopolari che colpivano i ceti più bassi; aboliti molti privilegi feudali; si cercò di imporre una uniformità amministrativa, legislativa e fiscale: si promosse il diritto allo studio; si garantì la libertà di stampa e analogamente l'uguaglianza religiosa; si propose di confiscare terre feudali ed ecclesiastiche per distribuirle ai contadini, più tante altre belle iniziative. Tutte le neo-repubbliche ovviamente introdussero il suffragio universale. Ma tutti, più che realizzare qualcosa crearono dei grandi laboratori e dei grandi progetti, teorizzati ma poi data la brevità dell'esperienza, di tutti questi progetti non ne fu realizzato nessuno, o quasi. Ma l'insuccesso non fu dovuto alla grande reazione degli stati reazionari, ma perchè i movimenti repubblicani di ogni tipo (troppi) non riuscirono a dare all'organizzazione una direzione unitaria. Nell'intero processo riformistico, in Italia venne a mancare la cosa più importante l'anima della maturazione nazionale. Ognuno (nella propria regione) cominciò a guardare il suo "cortile" e a voler comandare dentro questo piccolo "cortile". Tutti si atteggiavano a democratici (sognavano Mirabeau e Danton) ma avevano lo spirito di piccoli borghesi conservatori, incapaci di grandi vedute. Erano le stesse limitatezze che volevano combattere nei loro sovrani; anzi si dimostrarono spesso più incompetenti e incapaci.
Anche se bisogna dire che la "fiammata" pur così breve di queste democrazie, di un ora, di un giorno e di un mese, rappresentò l'inizio di un processo storico irreversibile. Alcuni affermano essere stato il frutto di una operazione quasi esclusivamente culturale, altri invece sostengono che è stata un'operazione di interessi economici. Eugenio Scalfari sostiene che questi ultimi sono venuti dopo, da soli non avrebbero creato un bel nulla. Ma l'esperienza della Zollerverein in Germania ci dimostra proprio l'incontrario. Addirittura l'Unione doganale fu creata dai Principi per evitare una unione politica, invece fu proprio lo strumento che maggiormente -in una forma autonoma- poi contribuì a unire la nuova borghesia e questa con il denaro condizionò una buona parte la vecchia politica (i Principi possedevano terre ma non avevano i denari in tasca come i ricchi borghesi).
L'unità nazionale in Italia se per Cavour era una assurdità, e non ne faceva mistero, non è che gli altri demagoghi trascinatori di folla la pensassero diversamente. Ad esempio Daniele Manin, si lamenterà in seguito che Venezia era stata lasciata sola, ma poi scopriamo che lui agli altri stati diventati democratici improvvisamente in un mattino, non chiese nessun aiuto; anzi invitato all'Assemblea Costituente romana, Manin rifiutò di parteciparvi. Era convinto di poter far da solo - cioè di rimettere in piedi la vecchia Repubblica di San Marco, sperando un aiuto dai francesi, che però proprio nel '48-'49 cambiarono "musica". Napoleone III non era più il giovane rivoluzionario repubblicano anni '31, il carbonaro, il cospiratore dello Stato Pontificio, ma era passato dall'altra parte della barricata, preferendo il consenso dei cattolici e dei conservatori francesi per salire al potere (riuscendoci!). E ora dirige la svolta reazionaria in Francia, è un assolutista, schierato proprio con il papa al pari degli austriaci. E stato il suo esercito lo scorso anno a schiacciare i repubblicani romani di Mazzini e di Garibaldi. A esiliarli. Lui a rimettere sul trono Pio IX. Lui a provocare la fine del repubblicanesimo italiano.
La stessa cosa accadde in Toscana; GIUSEPPE MONTANELLI, leader dei democratici socialisti, uomo d'azione (fu lui a guidare l'attacco contro gli austriaci a Curtatone e Montanara) cacciato Leopoldo, formata una repubblica, iniziò i primi concreti incontri per creare una grande assemblea costituente nazionale. Ma poi ricevuta la proposta di fare la fusione con quella romana, a causa dei forti dissidi interni (nei tre nuclei fondamentali: il mazzinianesimo, il liberalismo moderato, il liberalismo radicale, più i monarchici filo-sabaudi) non solo i contrasti impedirono e rifiutarono l'unione, ma non riuscirono nemmeno a tenere unita la stessa Toscana. Ogni nucleo (con dentro un po' di tutto) voleva farsi la sua Repubblica (Firenze, Livorno, Pisa, Lucca, Siena - Come ai tempi dei Comuni nel XIII sec.). Fino a quando nell'anarchia assoluta, trasformatisi tutti in moderati, amanti dell'ordine e della disciplina, non trovarono di meglio che richiamare sul trono il Granduca Leopoldo. (Poi ci ripensarono e fra 9 anni lo cacceranno di nuovo)
La stessa cosa sarebbe accaduta in Piemonte (fu l'unica a conservare lo Statuto) se non subentrava il giovane Vittorio Emanuale. Il più incompetente di politica, che invece con il suo proclama di Moncalieri, firmato solo da lui, poi lo scioglimento della Camera, si era subito imposto giurandoci perfino sopra su quella specie di costituzione che il padre aveva concesso pochi mesi prima di morire. Entrambe le due cose erano un severo ammonimento al Paese, che va bene che era di sentimenti conservatori, ma secondo il Re rimaneva troppo inattivo e permetteva che una minoranza turbolenta arrestasse la vita dello Stato. Lui fece appello a queste forze. O reagire per far finire la pigrizia e la demagogia, o non c'era altra scelta da fare: sospensione o addirittura abolizione dello Statuto. L'ammonimento era implicito, declinava ogni responsabilità per quanto poteva accadere; dall'interno ma anche dall'esterno qualora qualcuno avrebbe dato troppo fastidio agli austriaci che -realista com'era Vittorio Emanuele- disse chiaro e tondo "oggi come siamo messi militarmente ed economicamente, da loro dipendiamo". E militarmente non è che dovevano fare molta strada gli austriaci; e in questo caso non si sarebbero fermati a Novara e ad Alessandria. Se il Re veniva messo fuori gioco da chi voleva continuare la guerra, bastava a Radetsky fare un altro passo e occupava Torino.
D'Azeglio pur esitando, il giovane Re lo aveva aiutato, anche perchè le sue idee erano identiche a quelle di Vittorio Emanuele. D'Azeglio cercò qualche altro deputato per appoggiare il proclama e lo scioglimento. Un piccolo gruppo lo aveva anche trovato. Il deputato CAVOUR (destra moderata, più monarchico dei monarchi, in apparenza liberale, ma deciso a far rispettare la inviolabile proprietà borghese) gli aveva parlato solo qualche giorno prima che era a favore del trattato di pace, ma poi al dunque non volle compromettersi (già al suo primo intervento rivela il suo carattere), né con il governo né con gli avversari.
Decise alla fine solo il Re, che vivendo fuori dal palazzo non aveva certo imparato in caserma ad essere maestoso e nemmeno aveva imparato a fare il silenzioso. Nel diventare sovrano non fu tanto convinto che doveva diventare solo un simbolo dello stato. Quel "regna ma non governa", non lo aveva mai capito, ma neppure volle capirlo (almeno nei primi due-tre anni. Poi arrivò Cavour e iniziò a capire -dal "maestro"- che le due cose erano molto diverse. Le capì ancora meglio alla fine del 1859.
Il Re era convinto (forse dell'Inghilterra sapeva molto poco) solo di una cosa: che il sovrano datore della costituzione (suo padre che l'aveva concessa non ebbe nemmeno il tempo di farlo il sovrano, quindi non c'era nessun precedente, ma solo quella oscura frase d'altri tempi) potesse e dovesse intervenire nella vita politica più direttamente e vigorosamente. Lui doveva essere il maggiore e il migliore interprete della Costituzione. Lui doveva mettersi contro gli oppositori incompetenti e incapaci.
Le nuove elezioni avvennero sotto l'influsso di quel suo proclama. Nello scorso luglio gli elettori erano stati 30.000. A dicembre salirono a 80.000. A dire il vero aumentarono non per educazione politica ma perché si esercitò qualche pressione nei luoghi mirati, soprattutto nelle campagne, con l'aiuto di alcuni fedeli monarchici, debitori di qualche privilegio o proprietà. La maggioranza che ne venne fuori fu un blocco fedele alla monarchia, quindi pronti ad approvare in Parlamento tutto quello che proponeva il re.
Alla nuova assemblea per far accettare il criticato trattato di pace, parlò Balbo; invitò a votare a favore aggiungendo (che profeta!) che più che approvare un trattato di pace quello era solo un armistizio di dieci anni. Protestarono ancora, ma alla fine solo 17 deputati votarono contro.
In questo caso molto saggio, Vittorio Emanuele (l'uomo che era stato indicato sprovveduto e incompetente) aggiunse "Per essere libero e prospero, occorre che il Piemonte rimanga alcuni anni senza far parlare di se". (Non conosceva ancora Cavour!)
Finiva così la crisi. Soddisfazione per Vittorio Emanuele e D'Azeglio, e per entrambi un accresciuto prestigio. Gli fu riconosciuto a Londra e non dispiaceva nemmeno a Vienna pur avendo sperato gli austriaci che la crisi allargandosi avrebbe tolto di mezzo il Re e quindi automaticamente lo Statuto.
L'abilità maggiore (astuzia, intuizione, logica ?) fu quella che pur in mezzo a reazionari e demagoghi il giovane re rimase padrone del campo. Ma anche libero da impegni verso gli uni e verso gli altri, pur conservando legami con ambo le parti (è quasi lui a inaugurare il "trasformismo"). Insomma -diremmo- una politica prudente per non dire ambigua, ma anche perchè non si potevano prendere nè provvedimenti troppo energici, ma nemmeno si poteva passivamente ubbidire come dei miti servi agli austriaci, che dovettero alla fine pur addolorati, riconoscere che quest'uomo aveva carattere, il buon sangue tedesco della madre non mentiva. Quando gli fecero notare che tutti gli altri principi si erano adeguati alla restaurazione e avevano subito stracciato la costituzione che avevano concesso, lui aveva risposto "Più gli altri principi violano i loro giuramenti e più io mi sento obbligato a mantenere il mio!". Non sapeva esattamente quello che faceva, ma intanto lo faceva. Mettendoci del genuino orgoglio che a molti non dispiaceva.
Gli austriaci nell'ammirare il carattere o forse convinti che in seguito avrebbero imposto altre condizioni (ed erano in grado di imporle) non si resero subito conto che stavano invece combinando un bel guaio. Vittorio Emanuele si era imposto monarchicamente, aveva sostituito il parlamento come aveva promesso a Radestzki, ed era anche riuscito a far accettare la pace austriaca. Gli austriaci si convinsero che avesse distrutto la democrazia. Invece il re così agendo l'aveva solo scompigliata, le idee erano rimaste, si erano sparse, diffuse, travasate in altri ambienti. Quelle idee che prima si erano appena affacciate solo nei banchi del Parlamento ora erano uscite fuori. Eliminato quello che sembrava il problema più grosso, la guerra, dov'erano stati sconfitti, si concentrarono più liberamente sulle riforme. Si dedicarono su queste, in comune con chi ora sedeva in Parlamento.
La più importante era l'anticlericalismo. La Chiesa dopo il 1815, in Italia, era ritornata a dominare il mondo sociale e politico piemontese oltre che i tribunali; e nella classe aristocratica e nella borghesia con tendenze ormai volteriane, queste inclinazioni anticlericali erano nei successivi anni diventate fortissime, quando lentamente gli ecclesiastici tornarono a dominare le scuole, le congregazioni rientrarono in possesso di molte proprietà e tutta la legislazione piemontese asservita aveva aumentato le condizioni di favore riservate al clero (immunità, privilegi, detassazione, ecc.). Negli ultimi anni di Carlo Alberto questa avversione era aumentata molto, fin troppo palese. Prima ci fu la cacciata dei gesuiti, poi ci si oppose di mandare l'offerta annua di un calice d'oro al papa. Infine era poi esplosa una totale avversione nell'allocuzione di Pio IX nel famoso '48.
Si lamentarono facendosi sentire, con atteggiamenti anche minacciosi. Ma Pio IX bollò questi "critici" come una "classe di corruttori che si agita per dichiarare guerra alla Chiesa".
Ma non dimentichiamo che oltre che mettersi contro questa classe "rivoluzionaria" si era messo anche contro i monarchici, quando con la sua allocuzione (a favore dei "poveri cattolici austriaci") non solo abbandonò al suo destino Carlo Alberto, ma gli fece franare l'appoggio di tutti gli altri stati che erano accorsi ad aiutarlo.
Ed eccoci al dunque. Quello che era rimasto in comune tra il liberalismo piemontese e i più fedeli conservatori monarchici, era proprio l'anticlericalismo "democratico". E i liberali per riagganciarsi spinsero proprio verso questa direzione per ridiventare nuovamente i protagonisti, convinti che avrebbero trovato nel nuovo Parlamento molti alleati.
Premessa: Vittorio Emanuele, se dalla politica di palazzo era rimasto sempre distante, per quanto riguardava la chiesa e la religione era ancora più lontano dalle concezioni paterne. Era credente, ma non era come Carlo Alberto sempre straziato tra doveri religiosi e doveri politici. L'educazione religiosa piuttosto bigotta, Vittorio da giovane l'aveva ricevuta, ma presto nell'ambiente militare si era liberato dai grossi condizionamenti. Ma ora come re padrone, tutto il problema gli si presentò davanti abbastanza complesso. Sempre da uomo pratico cercò una specie di equilibrio tra i sentimenti religiosi del popolo e le necessità politiche. Un problema millenario.
Infatti la questione religiosa era molto più spinosa di quella politica. Perchè le due fazioni sia liberali che conservatrici -come abbiamo letto sopra- erano sulla stessa lunghezza d'onda. Per entrambi la Chiesa con i suoi tribunali ecclesiastici, i suoi privilegi, le sue immunità, era divenuta sempre più un'ingerenza nella politica e negli affari; e quest'ultimi non erano più quelli di un tempo. L'Europa stava correndo verso l'opulenza con la sua rivoluzione industriale. E in parallelo si stavano già formando "imperi" finanziari e industriali ignorando del tutto i vecchi poteri teocratici.
Paradossalmente il trattato iniquo con l'Austria, i due poli politici li aveva tenuti divisi su una questione, ma li aveva riuniti su quest'altra: sull'anticlericalismo
La situazione quindi già si presentava di difficile soluzione, ma divenne ancora più imbarazzante quando Pio IX nel nominare il nuovo arcivescovo a Genova (sede vacante) si rivolse a Vittorio Emanuele, e nell'indicare il suo prelato preferito (già monsignore a Cuneo, a molti sgradito) non mancò di stigmatizzare i sudditi del re "corruttori" anticlericali che si opponevano alle sue scelte e invitava il Re a fornirgli appoggio per "dare una nuova e più sicura direzione alla Chiesa del Regno".
Ora il Re con chi si doveva schierare con il papa in nome della religione oppure schierarsi contro i suoi sudditi -addirittura delle due fazioni- schierati contro il papa?
Il 13 gennaio con forte realismo Vittorio Emanuele scrisse al Papa: "Dobbiamo agire insieme con la persuasione e coll'amore, non colla forza nè colla reazione. Il Paese si fa ogni giorno più forte. Repressione sì, ma solo chi oltrepassa i limiti della savia libertà".
Vittorio Emanuele si limitò inoltre ad aggiungere che avrebbe curato l'alta missione della Chiesa nel suo regno purchè non ondeggiasse il clero tra le varie opinioni e le parti politiche del suo regno. Poi per convincere meglio il Papa inviò Balbo, ma fallì ogni intesa. Inviò poi Siccardi, ma erano lontani i punti di vista tra le due parti. In entrambi i due colloqui la curia aveva ripugnanza a trattare con un governo che si ostinava a rimanere costituzionale. Infatti le leggi ecclesiastiche e i provvedimenti di polizia erano in antitesi con il primo articolo dello LO STATUTO ALBERTINO che parlava di osservanza di culto, ma non gli affidava un Foro legislativo, nè tanto meno quello esecutivo. Era bene specificato negli altri articoli a chi dovevano andare i tribunali civili e penali. Su questi punti, il papa era ostile mentre le due fazioni anticlericali erano d' accordo. Questo il Re lo aveva già capito, ed ecco perché voleva difendere quello che c'era scritto nello Statuto.
Si giunge al progetto di legge del 25 febbraio di Siccardi, che ribadiva -appoggiandosi allo Statuto- l'abolizione del Tribunale ecclesiastico, l'abolizione delle immunità del clero, l'obbedienza alle autorità costituite, il divieto di acquistare beni o accettare donazioni senza l'autorizzazione dello Stato. Per molti anticlericali le donazioni non erano spontanee, ma erano solo delle estorsione fatte a gente che era in punto di morte, minacciandole di castigo divino e pene d'inferno i malcapitati.
Alla presentazione della legge Siccardi, la reazione fu terribile. Nel Parlamento c'erano le due fazioni favorevoli, ma c'erano tra di loro anche alcuni vescovi che alzarono le loro proteste, dichiarando che il Piemonte era indegno di una religione, l'avevano offesa; era il Piemonte l'obbrobrio e l'onta fra tutte le altre cattoliche nazioni; minacciarono le scomuniche.
La legge fu comunque approvata il 9 marzo con 150 voti contro soli 26 ! Significa che anche l'opposizione democratica votò a favore del governo. I 26 voti erano del clero e dei filo-clericali di estrema destra.
Ma non era finita la lotta. La situazione si aggravò il 18 aprile. Il Nunzio pontificio per protestare contro la legge Siccardi abbandonò Torino. Contemporaneamente l'arcivescovo Fransoni diramò una circolare a tutto il clero con le istruzioni circa il modo di comportarsi: levare regolarmente protesta contro le nuove disposizioni di legge. In pratica ci si metteva contro il Re e contro il Parlamento che aveva votato la legge. Era dunque una chiara ribellione contro i poteri dello Stato, che fece scattare un procedimento giudiziario. Fransoni non comparì poi davanti ai giudici e venne arrestato. L'atto si presentò a molti impolitico, un errore, e per alcuni brutto e indecoroso. Era per alcuni questa precipitosa imprudente mossa, un falso rispetto dello Stato. Non era mai accaduto. Lasciò sconcertati.
Il 23 maggio Fransoni fu condannato ("per le offese contro il rispetto dovuto alle leggi") con un mese di arresto e 500 lire di multa, mentre il Re era assente in partite di Caccia nella Savoia..
L'ambiente era già confuso da entrambi le parti, quando il 5 agosto fu invece sconvolto. Ammalatosi gravemente il fratello del ministro Santorre Santa Rosa, l'arcivescovo condannato vietò ai suoi preti di somministragli i Sacramenti e vietò la sepoltura religiosa al defunto. Il governo aveva sfidato la Curia con i suoi strumenti, e la Curia sfidava il governo con i suoi.
Il gravoso fatto causò a Torino commenti e agitazioni molto gravi. Vittorio Emanuele nel frattempo rientrato, non criticò i magistrati che avevano condannato l'arcivescovo, ma anzi espresse un : "sentimento di disprezzo e di indignazione contro l'autore di una simile nefandezza, il quale dimentico dei sacri doveri di religione e di carità, che doveva ispirargli il suo santo ministero, scendeva a sì bassa ed irreligiosa vendetta"...."con questi mezzi, e questi esempi non potremo mai costruire un felice e glorioso avvenire; non sono certo questi i mezzi per combattere i nemici".
D'Azeglio consigliò il Re di essere cauto. Si correva il rischio di far diventare il Fransoni un martire. Per fortuna il popolo sulla questione fu abbastanza distaccato, il piccolo clero anche. Solo la passione politica aveva commesso questo errore, quindi i politici dovevano ripararlo. L'unica cosa era non ritornarci più sopra. Da sola tutta la politica ora avrebbe potuto trarre le sue conclusioni. Bisognava seguire la linea indicata dal re: indignarsi e tirare diritto.
Anche se Vittorio Emanuele non aveva del tutto risolto il "problema dell'intera nuova politica Piemontese", ma solo una questione. E per le altre da solo non era più in grado di farlo. Il Parlamento non era più quello entrato pochi mesi prima. In maggioranza era monarchico ma non era più disposto a dire sempre sì al sovrano e nemmeno aveva più paura di essere mandato a casa, aveva un altro carattere.
12 OTTOBRE - Morto il Santa Rosa, D'Azeglio chiamò al governo Camillo Cavour, un deputato della destra moderata, che cercava da tempo di entrare in un qualsiasi ministero. Era impaziente di mostrare le sue capacità, che nei discorsi in Parlamento (e sul giornale Il Risorgimento) manifestava. In ogni intervento metteva bene in risalto che lui aveva frequentato i parlamenti esteri e soprattutto aveva visto come agiva quello inglese; insisteva sulla necessità di promuovere una politica di movimento, destinata a togliere forze allo spirito rivoluzionario; mentre proprio da Londra, questo "spirito" in questo periodo era tornato (8 settembre) a diffondersi in Italia con il manifesto programmatico di Mazzini che incoraggiava l'azione rivoluzionaria unitaria repubblicana.
D'Azeglio, Cavour lo aveva in antipatia, ma aveva perso un consistente appoggio (Balbo e Revel) della destra nella disputa ecclesiastica. Mandò quindi giù il boccone amaro nel fare di malavoglia questa scelta.
Il re era della stessa opinione, condivideva l'antipatia per il conte, ne aveva diffidenza, perchè gli sembrava ambizioso, intrigante, troppo dinamico e spregiudicato nei suoi affari. Detestava perfino suo padre, Vicario della Polizia, che agiva con un autonomo potere assoluto. "Pensateci bene - gli disse a D'Azeglio mentre si accingeva a chiamare Cavour- quello lì vi manderà tutti con le gambe all'aria". Quando poi in seguito Cavour si prese anche il portafoglio delle Finanze, fu perfino sarcastico nonchè malizioso "Attenzione, quello lì, vi prenderà tutti i portafogli".
Cavour fu infatti abile già al primo istante. In questo clima di incertezza dei due, cercò l'appoggio del ministro della guerra Alfonso La Marmora, rompendo così gli indugi del Re e D'Azeglio. Gli fu quindi affidato -per la sua competenza nel settore- il ministero dell'Agricoltura e del Commercio. Cavour lasciò dunque la direzione del suo giornale e s'insediò nel governo. Dal primo momento nel "muoversi" apparve subito come uomo superiore di fronte ai pigri colleghi (agitati ma inconcludenti); Cavour usciva spesso dalle sue competenze per ingerirsi in quelle degli altri dicasteri; lo stesso D'Azeglio con questa continua invadenza, iniziò a sentirsi messo da parte, esautorato, preso a rimorchio (fino a quando un giorno disse "non ne posso più" e si ritirò).
Diffidenza o no, a Vittorio Emanuele a un certo punto faceva comodo un uomo così energico per dare una svolta. Utile quando gli si presentò il grosso problema di come purgare la magistratura troppo reazionaria; o quando i rapporti con la Santa Sede si fecero molto tesi e lui non sapeva come riprendere le relazioni con il papa dopo l'episodio del Fransoni. Fino al punto che nessuno voleva accettare l'increscioso compito di andarsi a esporre con una missione a Roma temendo di uscirne poi con il prestigio a pezzi. La maggior parte diceva che era inutile.
E gli fece ancora comodo quando udì pronunciare in Parlamento, dall'impudente cattolico La Tour una frase molto sibillina, perfino inquietante: non esitò a ricordare il cattolico che "in più di un paese le guerre civili fossero state causate da contrasti religiosi: Enrico IV ne era caduto vittima". Era una minaccia?
D'Azeglio in questo clima, lui pacifico com'era, non avrebbe combinato un bel nulla. Inoltre la sinistra di Rattazzi con la debolezza della destra iniziava a rivelare qualche ambizione, quella di ritornare al potere. In soccorso andò proprio Cavour che decise di accordarsi per dominare la situazione, o meglio crearsi un proprio partito; liquidare prima il D'Azeglio con il Rattazzi, poi liquidare anche lui, infine rimanere padrone del governo. (Nel '59 poi invertì il ruolo: usò D'Azeglio per eliminare Rattazzi).
Rattazzi era un uomo grezzo, un tedioso uomo di provincia, con un passato triste, uno dei più vivaci nemici dell'armistizio e della pace, aveva anche lui protestato piuttosto energicamente contro il proclama di Moncalieri, sembrava un democratico ma conservava (in una forma atavica) la devozione monarchica.
Cavour era invece di quell'aristocrazia arrogante, che addirittura insegnavano ai re cos'erano le tradizioni che dovevano conservare e rispettare. E nel farlo ricordavano quindi ai Re che dovevano solo regnare ma non governare. Era già così in passato, ma dopo l'esperienza in Inghilterra, Cavour ne era ancora più convinto; là era il governo a governare, non la monarchia. Negli ultimi anni lo fece capire anche a Vittorio Emanuele, quando il re imparò a valutarlo come uomo prezioso, intelligente, un uomo sicuro per la monarchia. Anche se era insofferente quando Cavour pretendeva di guidarlo, come guidava tutti i ministri e i deputati, che si lamentavano dicendo di lui "vuole tutto dire, tutto sapere, e tutto fare".
Siamo appena all'inizio di un lungo percorso, in cui troviamo fin dal prossimo anno Cavour il solo protagonista. Tutti gli altri delle comparse, alcuni dei veri burattini nelle sue mani.
La frase di Bayle l'abbiamo già citata: "I vari gabinetti, si formano e cadono a secondo degli accordi e degli intrighi di palazzo, praticamente senza alcun rapporto con ciò che succede in Parlamento" (Bayle St. John, The Subalpine Kingdom, London 1856, vol II, pag 57-58).
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